È tempo di bilanci. L’emergenza sanitaria, nonostante il rallentamento delle misure adottate dal Governo per contrastare la pandemia e il termine dello stato d’emergenza decretato lo scorso 31 marzo, è ancora in corso e continua a delineare scenari incerti per le imprese, che stentano a fare previsioni per il prossimo futuro in un contesto socio-economico non più stabile come un tempo.
Inevitabilmente, gli effetti economici della crisi che le imprese hanno vissuto e continuano a vivere si riflettono (e si teme si rifletteranno ancora per lungo tempo) sul bilancio d’esercizio, che, in quanto rappresentazione dei valori economici e finanziari diretta a dare informazioni sullo stato di salute di un’impresa, a norma del codice civile deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione finanziaria e patrimoniale della società, nonché il risultato economico dell’esercizio. Per rispettare questo postulato di redazione del bilancio, noto anche come principio di chiarezza, gli amministratori dovranno necessariamente fare delle valutazioni oculate, soprattutto in un contesto come quello che si sta vivendo da qualche anno, rispettando non solo le norme dettate dal codice civile, ma anche i principi contabili nazionali ed internazionali, redatti rispettivamente dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) e dallo IASB (International Accounting Standard Board) al fine di interpretare ed integrare quanto disposto dal legislatore.
In questo articolo si cercherà di illustrare l’impatto che la crisi pandemica ha avuto in relazione ai valori delle immobilizzazioni materiali ed immateriali iscritte nel bilancio d’esercizio, nonché i principi che regolano la loro iscrizione ed il procedimento di svalutazione reso necessario ogni qualvolta le stesse abbiano subito perdite di valore, come probabilmente si sarà verificato per molte società a seguito della turbolenza economica degli ultimi due anni.
Le immobilizzazioni nel Bilancio d'esercizio
Le immobilizzazioni rappresentano fattori produttivi ad utilizzazione pluriennale impiegati nel processo di produzione di beni e servizi di un’impresa. Proprio per questa ragione, la dottrina economico-aziendale li definisce come fattori a fecondità ripetuta, fattori, cioè, che, rispetto a quelli a fecondità semplice, cedono la loro utilità economica a più cicli produttivi e in più anni, e, in quanto tali, non sono destinati né alla vendita né alla trasformazione.
Contabilmente sono fattori anticipati, vale a dire acquisiti prima dell’intero svolgimento del processo produttivo, a cui partecipano cedendo ogni anno piccole dosi di utilità. Sostanzialmente sono costi anticipati comuni a più esercizi e perciò stesso definiti anche come fattori ad utilizzazione pluriennale. Per la medesima ragione, il loro valore si trasferisce per quote sulle produzioni svolte e sul reddito d’esercizio mediante il procedimento noto come ammortamento, che tecnicamente consiste nella ripartizione del costo d...

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