La buona uscita per licenziamento è una somma che viene corrisposta dal datore di lavoro ai lavoratori dipendenti, nel momento in cui termina un rapporto di lavoro. Questa soluzione non è presente nel diritto italiano, ma è spesso utilizzata dal datore di lavoro per limitare i possibili danni collaterali derivati da un contenzioso con il lavoratore, oppure nel contesto del lavoro pubblico.
Non va confusa con il TFR, ovvero il Trattamento di Fine Rapporto, che prevede comunque una certa somma da erogare al lavoratore che sta per terminare un periodo lavorativo con l’azienda specifica. La buona uscita quindi è una somma che viene aggiunta al TFR al termine del rapporto lavorativo per limitare anche possibili pretese successive del lavoratore, specialmente in alcuni casi in cui queste sono possibili per specifici motivi.
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Buona uscita: di cosa si tratta
La conclusione di un rapporto lavorativo può verificarsi a seguito di diverse situazioni e condizioni specifiche:
- Licenziamento: in questo caso è il datore di lavoro, o l’impresa, a decidere di licenziare uno o più dipendenti; Esistono diverse tipologie e motivazioni per il licenziamento;
- Dimissioni: in questo caso è il lavoratore a chiedere al datore di lavoro o all’azienda la cessazione del periodo di lavoro previsto da contratto;
- Risoluzione consensuale: in questo caso il datore di lavoro e il lavoratore si trovano d’accordo sull’interruzione del rapporto lavorativo in essere.
Ogni volta che si preannuncia una interruzione del lavoro definitiva, i contratti nazionali prevedono che l’azienda, e in particolare il datore di lavoro, versi al lavoratore alcune cifre per il termine del rapporto di lavoro, in base a diversi fattori. Si tratta del TFR, delle cifre relative alle ferie non godute, e all’eventuale buona uscita.
Il TFR, ovvero il Trattamento di Fine Rapporto, è previsto ogni volta che sussiste un contratto regolare di lavoro, e consiste in una certa somma legata specialmente al periodo di lavoro effettivamente svolto dal dipendente, dai compensi ricavati prima del licenziamento e altri fattori.
La buona uscita spetta in caso di licenziamento quando questo può essere ritenuto ingiustificato dal lavoratore, o quando si rischia un contenzioso tra le parti. Tuttavia è importante ricordare che a livello giuridico la buona uscita non esiste, si tratta di una cifra corrisposta dall’azienda in base a precise scelte.
Buona uscita per contenzioso: le casistiche
La buona uscita può costituire una somma aggiuntiva rispetto al TFR, per cui è sempre il datore di lavoro a corrisponderla al lavoratore che sta per terminare il proprio lavoro. Tuttavia può essere strettamente correlata anche a casistiche specifiche di contenzioso, per cui il datore di lavoro garantisce una sorta di cuscinetto economico al licenziamento, quando si verificano alcune eventualità:
- Se il lavoratore reputa che il licenziamento sia senza giusta causa, o per motivo illegittimo;
- Se il lavoratore ha svolto una mansione con inquadramento diverso da quello da corrispondere per legge secondo contratti collettivi nazionali;
- Se il lavoro è stato instaurato senza un contratto opportuno, ovvero in nero;
- Per mancati pagamenti di alcuni stipendi o comportamenti scorretti similari da parte dell’azienda;
- Per un trasferimento di sede senza giustificato motivo.
Questi casi possono essere motivo per il lavoratore di una richiesta di risarcimento a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, per cui il datore di lavoro può garantire la buona uscita come cuscinetto a questa eventualità. Questo significa che non tutti i lavoratori che perdono il proprio posto di lavoro ne hanno diritto, poiché a differenza del TFR è collegata a situazioni di contenzioso. L’azienda in questione infatti garantisce un’indennità in denaro per non incorrere nei danni derivati dal contenzioso, per la rinuncia all’impugnativa per licenziamento.
Per un licenziamento ingiustificato per esempio, l’azienda sarebbe tenuta ad un risarcimento del danno, in base alla grandezza dell’azienda e ad altri fattori collegati al tipo di rapporto di lavoro. Per un lavoratore può essere più conveniente accettare la buona uscita piuttosto che chiedere un risarcimento del danno, anche se per il singolo caso è consigliato comunque rivolgersi al parere di un avvocato.
Dipendenti pubblici
Come visto sopra, la buona uscita non è regolamentata dalla normativa italiana, e viene applicata dalle aziende per situazioni specifiche. Tuttavia la legge prevede una tipologia di buona uscita, ovvero quella per i lavoratori del pubblico impiego.
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti del settore pubblico, la buonuscita si differenzia da quanto visto sopra perché consiste in una somma di denaro per il termine del rapporto di lavoro con lo stato. Si tratta del TFS, ovvero del Trattamento di Fine Servizio, per cui è possibile accedervi sia per licenziamento che per l’accesso alla pensione.
Possono usufruire: i dipendenti civili e militari dello Stato assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000 e, indipendentemente dalla data di assunzione, i dipendenti rimasti in regime di diritto pubblico, ai sensi dell’articolo 3, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che hanno risolto, per qualunque causa, il rapporto di lavoro e quello previdenziale con almeno un anno di iscrizione.
Al personale assunto con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 si applica, invece, la normale disciplina del Trattamento di Fine Rapporto ( TFR).
Importi spettanti
La buona uscita nel caso di lavoratori pubblici si calcola moltiplicando 1/12 dell’80% della retribuzione annua lorda per il numero di anni di effettivo lavoro del dipendente pubblico. Questa somma può essere erogata in un’unica cifra annuale oppure in diverse erogazioni.
Questo è l’unico concetto di buona uscita che è riconosciuto a livello di normativa italiana, mentre per quanto riguarda la buona uscita come vista sopra, non esiste a livello giuridico. Eppure molte aziende possono decidere di erogarla anche quando si trovano in una situazione di conflitto con i sindacati, quando procedono a licenziamenti collettivi, quando si verificano trasformazioni aziendali importanti.
L’importo in questo caso è variabile, non esiste una regola precisa. Ci sono infatti diversi fattori che vi possono influire, per cui l’azienda può decidere o contrattare la somma con i sindacati o con i lavoratori stessi.