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Assegno unico, addio dal 2025: cosa cambierà?

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Ѐ tempo di volgere lo sguardo già al 2025. E così il Governo Meloni sta pensando cosa mantenere e cosa cambiare o cancellare a partire dal prossimo anno, sulla base delle risorse che riuscirà ad avere a disposizione e senza trascurare l’importanza di andare incontro alle famiglie più bisognose. Sul tavolo dell’Esecutivo si sta valutando cosa fare dell’assegno unico universale.

Non è ancora chiaro se la misura sarà solo rivista, con una modulazione dell’importo, o se verrà cancellata del tutto. Sembra però prevalere la seconda ipotesi. L’idea sarebbe quella di prevedere una nuova misura, forse sostitutiva, prevedendo una redistribuzione delle risorse e non soldi aggiuntivi. Gli eventuali avanzi potrebbero essere utilizzati per finanziare il bonus mamme lavoratrici, estendendolo alle autonome. La Ministra Eugenia Roccella ci sta lavorando in queste ore e tra pochi giorni potremo avere notizie certe.

Vediamo quindi di seguito cosa sappiamo finora sulla base delle prime indiscrezioni che stanno trapelando.

La procedura d’infrazione UE

A giocare un ruolo importante sulla decisione del Governo è la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea contro l’Italia. Nello specifico Bruxelles ha chiesto al nostro Esecutivo di eliminare il requisito della residenza in Italia degli stranieri per poter usufruire del beneficio. Secondo la Commissione Europea la normativa italiana violerebbe il diritto dell’UE poichè non tratterebbe i cittadini dell’UE in modo equo, e pertanto si qualificherebbe come discriminazione. Tra l’altro il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieterebbe inoltre qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale, quali gli assegni familiari.

Tutto era partito a novembre 2023 con un parere motivato da parte della Commissione UE rivolto all’Italia, a cui ha fatto seguito una lettera di costituzione in mora inviata sempre al nostro Paese nel febbraio 2023. L’Italia ha risposto a tale lettera nel giugno 2023 ma la Commissione ha ritenuto che la risposta non affrontasse in modo soddisfacente i suoi rilievi.

All’Italia sono stati poi dati 2 mesi di tempo per rispondere e adottare le misure necessarie per adeguarsi all’Ue, trascorsi i quali la Commissione avrebbe potuto decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia europea.

Alla luce di ciò il Governo ha annunciato che si sarebbe opposto alla procedura di infrazione Ue. Sul tema era intervenuta i mesi scorsi Eugenia Roccella, Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, la quale a La Presse aveva dichiarato: “L’Europa ci chiede, per i lavoratori comunitari, di eliminare il requisito della residenza in Italia, e addirittura di consentire l’accesso all’assegno unico anche se i figli continuano a risiedere in altri Paesi. Si vorrebbe peraltro erogare il beneficio a chiunque abbia un’occupazione anche occasionale nel nostro paese, sopprimendo l’attuale requisito che prevede che il lavoro sia almeno di durata semestrale. Insomma, sarebbe sufficiente un contratto di lavoro di pochi giorni. Eliminare ogni requisito sia di residenza che di durata per i lavoratori Ue aprirebbe inoltre a possibili reazioni a catena, che potrebbero coinvolgere anche i lavoratori extracomunitari. Per ragioni tecniche, sarebbe ad esempio sufficiente che un Paese europeo avesse un accordo bilaterale con un Paese extracomunitario (per esempio Francia e Algeria), per estendere il beneficio ai residenti di quest’ultimo, e via via ad altri in base al principio di non discriminazione. Senza parlare, poi, di eventuali contenziosi e interventi della magistratura sempre sulla base dello stesso principio. Significherebbe insomma aprire un varco per conseguenze incontrollabili a catena, creando una potenziale falla nel nostro bilancio“.

Quale sarà il suo destino dal 2025?

A seguito del rischio di procedura d’infrazione il Governo starebbe pensando di cancellarlo a partire dal 1° gennaio 2025. La Premier Meloni avrebbe comunque affidato alla Ministra Roccella il compito di riformare la misura in questione.

L’idea sarebbe quella di sostituirlo con una misura più funzionale ed utile per le famiglie, e che possibilmente non gravi eccessivamente sulle casse dello Stato. Ad oggi infatti pesa sul bilancio 20 miliardi di euro, con il costo che ogni anno aumenta a causa dell’inflazione. Al pari delle pensioni e di altre misure assistenziali (con l’eccezione dell’Assegno di inclusione), infatti, l’importo della misura viene adeguato ogni anno al costo della vita. Senza contare anche che il numero dei beneficiari è aumentato nell’ultimo anno, portando quindi il Governo a erogare maggiori somme: si è passati dall’84% degli aventi diritto nel 2022 all’89% nel 2023, mentre all’inizio di quest’anno è stato superato perfino il 90%.

L’idea, in definitiva, sarebbe quella, secondo i ‘rumors’, di prevedere una nuova misura, forse sostitutiva (un po’ come è successo con l’abbandono del reddito di cittadinanza a favore del reddito d’inclusione), prevedendo una redistribuzione delle risorse e non soldi aggiuntivi. Gli eventuali avanzi potrebbero essere utilizzati per finanziare il bonus mamme lavoratrici, estendendolo alle autonome.

In merito al momento il Governo tace sull’argomento o smentisce, come ha fatto di recente Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera interpellato sul tema da Affaritaliani.it. Bisognerà pazientare ancora qualche giorno per capire con maggiori certezze cosa finirà nella nuova Manovra Finanziaria e quale sarà il suo destino.

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    Sabrina Maestri
    Sabrina Maestri
    Classe 1986, vogherese, aspirante consulente del lavoro. Appassionata di giornalismo, scrivo da anni per portali di informazione e testate giornalistiche online occupandomi di temi legati al mondo del lavoro, al fisco e bonus fiscali.
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