Tutti conoscono Chiara Ferragni, la fashion blogger più pagata al mondo e l’unica italiana inserita nella lista degli “under 30 Europe” più influenti a livello internazionale dalla nota rivista americana Forbes. Tra il 2010 e il 2013 la Ferragni ha presentato la sua prima linea di scarpe e, a seguire, anche una linea di t-shirt e felpe a marchio Chiara Ferragni Collection.
Ad oggi, attraverso lo sfruttamento del proprio nome e della propria immagine, la giovane imprenditrice digitale è riuscita a creare un marchio dal valore inestimabile (secondo analisti del settore infatti il brand Chiara Ferragni potrebbe ammontare ad oltre 80.000.000,00 di euro) ma ciò nonostante il suo marchio patronimico, ovvero riportante il nome della famosa fashion blogger, è stato in prima battuta rigettato da parte dell’EUIPO.
Nel presente articolo analizzeremo meglio cosa si intende per marchio patronimico per poi andare ad analizzare nello specifico la vicenda che ha riguardato le sorti del marchio Chiara Ferragni.
Indice degli Argomenti
Il Marchio Patronimico
Il marchio patronimico è un marchio costituito da nome e cognome o anche solo dal cognome di un soggetto. Detto marchio può essere registrato dal titolare del nome o, a determinate condizioni, anche da soggetti terzi.
Il Codice della Proprietà Industriale all’articolo 8 contempla questa particolare ultima ipotesi e quindi, proprio a proposito della registrazione del marchio patronimico da parte di soggetti diversi rispetto al titolare del nome, stabilisce che “…I nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la registrazione possono essere registrati come marchi, purché il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi…”.
La norma in questione precisa anche che l’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti può richiedere l’autorizzazione dell’effettivo titolare del nome e che i nomi notori possono essere registrati o usati come marchio solo dall’avente diritto o con il suo consenso o con il consenso dei soggetti indicati dalla norma.
La comparazione tra marchi patronimici: la regola generale
In generale occorre dire che la dottrina e la giurisprudenza prevalenti in materia ritengono che il marchio patronimico sia da considerarsi un marchio forte, ovvero dotato di una forte capacità distintiva in quanto il nome e/o il cognome non presentano collegamenti con i prodotti o servizi che contraddistinguono.
Proprio a causa della sua forza distintiva, nel giudizio di confondibilità la regola generale che viene seguita prevede di effettuare il confronto dando maggior peso all’elemento verbale rispetto a tutti gli altri (eventuali) elementi che compongono il marchio.
In diverse pronunce infatti la Corte di Cassazione ha ribadito che in caso di marchio patronimico, l’aggiunta di elementi ulteriori atti a differenziare il marchio successivo, non conferisce a questo il requisito della novità rispetto al marchio patronimico già registrato nella stessa classe merceologica.
Il Marchio Patronimico “Chiara Ferragni” e le ragioni del primo rigetto da parte dell’EUIPO
E’ probabilmente proprio sulla base della regola generale del giudizio di confondibilità tra marchi patronimici che prendeva le mosse la decisione n. 2594573 del 31.10.2016 nella quale l’EUIPO rigettava la domanda di registrazione del marchio complesso costituito dall’elemento figurativo di un occhio stilizzato sotto il quale era riportato l’elemento verbale “CHIARA FERRAGNI”, sulla base dell’opposizione presentata da parte di una società titolare del marchio anteriore del “CHIARA” (denominativo).
Il giudice dell’EUIPO infatti aderendo all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di marchi complessi, affermava che l’elemento verbale “chiara ferragni” ha un impatto sul consumatore più forte rispetto a quello figurativo e, in particolare, che è la parola “Chiara” a catturare maggiormente l’attenzione.
Per queste ragioni l’EUIPO concludeva ritenendo il marchio anteriore coincidente con il marchio complesso posteriore: secondo detto ufficio l’elemento di maggiore impatto del segno contestato era costituito dalla parte verbale “CHIARA” e questo contribuiva certamente a determinare il rischio di confusione.
Tale ragionamento non teneva però in alcun modo conto dell’elemento figurativo contenuto nel segno contestato, ovvero dell’occhio blu stilizzato con le ciglia nere, cosa che invece avrebbe dovuto essere presa in considerazione nell’esame tra i due marchi, come non prendeva in considerazione altresì l’altro elemento verbale presente nel marchio complesso, ovvero il cognome “ferragni” della fashion blogger.
In questo caso infatti, a ben vedere, sarebbero stati propri detti elementi ( il figurativo dato dall’occhio stilizzato e l’elemento verbale rappresentato dal cognome della stessa) a rappresentare l’elemento di differenziazione tra i due marchi.
Le diverse ragioni del tribunale dell’Unione Europea e il conseguente accoglimento della domanda di Marchio
L’8 Febbraio 2019 il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato la decisione con la quale l’EUIPO aveva accolto l’opposizione della società proprietaria del marchio denominativo “CHIARA” contro la domanda di marchio europeo complesso “Chiara Ferragni” tenendo conto di alcuni fattori che in prima battuta non erano stati opportunamente valutati.
Con la pronuncia T-647/17 del 08.02.19 la quarta sezione del Tribunale anzidetto prendeva in considerazione l’elemento figurativo presente all’interno del marchio opposto stabilendo che “…Il carattere fortemente stilizzato, il colore, la posizione e le dimensioni dell’elemento figurativo saranno tali da distogliere l’attenzione del pubblico di riferimento dall’elemento denominativo, posto nella parte inferiore del marchio richiesto. I ricorrenti possono pertanto legittimamente sostenere, in sostanza, che l’elemento figurativo del marchio richiesto è almeno tanto distintivo quanto gli elementi denominativi di tale marchio, considerati nel loro insieme.”
Nel caso di specie quindi, secondo il Tribunale dell’Unione Europea chiamato a pronunciarsi sulla questione, era proprio l’elemento figurativo del marchio a fare la differenza. L’occhio contenuto nel marchio “Chiara Ferragni”, secondo il medesimo Tribunale, “…è stilizzato in modo peculiare e può essere percepito dai consumatori come un elemento elaborato e originale, che sarebbe facilmente memorizzabile. Non può quindi essere descritto come un semplice elemento figurativo o come puramente decorativo. Inoltre, detto elemento figurativo non presenta alcun nesso con i prodotti delle classi 18 e 25 e non può essere considerato descrittivo di tali prodotti. Ne consegue che l’elemento figurativo è dotato di un carattere distintivo intrinseco, che sarà preso in considerazione dal consumatore medio….”
Con queste diverse premesse il Tribunale valutava diversamente la somiglianza tra i due segni e giudicava il rischio di confusione, inteso come somiglianza visiva tra i due segni ,“debole”.
Il Tribunale poi andava oltre e riteneva che vi fosse una diversità anche dal punto di vista concettuale tra i due segni: infatti, sebbene i due segni contenevano entrambi il nome Chiara, l’elemento verbale «ferragni» era quello che avrebbe dovuto essere considerato dominante e pertanto maggiormente distintivo rispetto al nome Chiara.
Con queste argomentazioni quindi il marchio complesso con componente verbale “CHIARA FERRAGNI” veniva giudicato sufficientemente distintivo e la domanda di registrazione dello stesso veniva accolta.