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Indennità di trasferta: disciplina fiscale

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Si parla di trasferta di un lavoratore quando il datore di lavoro decide a seguito di comprovate esigenze aziendali, di mandare il proprio lavoratore in una sede diversa di lavoro. 

Con la trasferta il lavoratore può trovarsi nella situazione di dover semplicemente lasciare la sede lavorativa per spostarsi in una sede secondaria presente sempre nel proprio comune, oppure in un comune diverso, altre volte invece il cambiamento è più radicale, quando il lavoratore è costretto a dover lasciare il Paese per andare a prestare la propria attività lavorativa all’estero. 

Si parla di obbligo del lavoratore assoggettato alla trasferta, perché il rifiuto da parte del lavoratore stesso può essere motivo di licenziamento

Questo è quanto previsto dalla giurisprudenza, che considera il rifiuto della trasferta come un atto di insubordinazione del lavoratore a cui può conseguire il licenziamento; una pronuncia della pretura di Milano ha ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuti la disposizione aziendale di recarsi in trasferta per un periodo di 4 mesi, tali legittimità esigono una verifica della fondatezza delle esigenze che sono alla base di una decisione aziendale che ha immediati effetti anche sulla vita di relazione del lavoratore. 

Sulla base di quanto è stato pronunciato, è sconsigliabile al lavoratore rifiutare di dare esecuzione al provvedimento di trasferta.

La normativa

Nel nostro ordinamento legislativo non c’è una vera a propria normativa che regoli la trasferta, per questo si rimanda alla disciplina applicata nei singoli CCNL. 

La trasferta può essere qualificata come il temporaneo svolgimento dell’attività lavorativa in un luogo diverso della sede di lavoro contrattualmente convenuta, nell’interesse del datore di lavoro e su disposizioni unilaterali da parte di quest’ultimo. 

L’unico riferimento legislativo è quello dell’Art. 51 co. 5 TUIR il quale disciplina solo il trattamento fiscale e contributivo della trasferta, ovvero l’impatto che l’indennità di trasferta ha sulla retribuzione del lavoratore. 

Come enunciato nei paragrafi precedenti la trasferta non gode di una disciplina normativa, ma è la contrattazione collettiva che delinea i diritti e doveri del lavoratore e disciplina i trattamenti economici.

In via residuale viene applicata alla giurisprudenza di legittimità, il ruolo di qualificare giuridicamente l’istituto in esame e risolvere casi di controversie dove molto spesso la differenza tra il trasferimento, la trasferta e il distacco risulta essere poco chiara. 

La trasferta

I requisiti e le modalità di rimborso

La trasferta fa sorgere in capo al lavoratore il diritto a ristori integrativi che si sommano all’ordinaria retribuzione che già va a percepire svolgendo la sua mansione normalmente. 

Tali ristori vengono erogati sotto forma di indennità di trasferta, di rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio e di retribuzione per il “tempo” di viaggio. 

Quali sono i requisiti che distinguono la trasferta da un trasferimento vero e proprio?

Sappiamo che il trasferimento è la situazione definitiva per la quale un lavoratore si trova a dover cambiare la sede lavorativa in un’altra, venendo meno la necessità di mantenere un legame con la vecchia sede lavorativa. 

La trasferta presuppone che lo spostamento del lavoratore sia determinato da fatti occasionali e contingentati, dove alla base c’è una decisione unilaterale del datore di lavoro che ha come requisiti l’esistenza di un legame tra il dipendente e il luogo di lavoro dove ha lavorato normalmente, la temporaneità dello spostamento all’altra sede e l’unilateralità dell’atto con cui viene disposta dal datore di lavoro. 

Insieme alla normale retribuzione, è previsto dalla contrattazione collettiva, che al lavoratore vengano erogati congiuntamente o alternativamente:

  • un’indennità diretta;
  • un rimborso delle spese sostenuta;
  • la retribuzione del tempo di viaggio.

Per stabilire il corretto trattamento fiscale e contributivo è necessario determinare se la trasferta avvenga all’interno del territorio comunale della sede di lavoro oppure al di fuori. 

L’art. 51 TUIR prevede nel caso di trasferta all’interno del comune della sede di lavoro un trattamento impositivo “ordinario” in quanto le indennità e i rimborsi spese concorrono alla formazione integrale del reddito da lavoro dipendente e sono soggetti ad imposizione contributiva e fiscale, ad eccezione delle spese di trasporto prevedendo l’esclusione del prelievo contributivo e fiscale qualora queste siano comprovate da documenti provenienti dal vettore. 

Non sono invece escluse dal reddito del lavoratore le eventuali indennità chilometriche corrisposte al dipendente per l’utilizzo della propria autovettura, se riconosciute dovranno essere soggette al prelievo fiscale e contributivo. 

Per quanto concerne la trasferta fuori dal comune della sede di lavoro sono previsti tre criteri a seconda della corresponsione delle somme. 

Le indennità per le prestazioni rese fuori dal Comune, al verificarsi di determinate condizioni, si prestano ad un regime di esenzione contributiva e fiscale, ma vediamo più nel dettaglio quali sono i criteri di cui abbiamo parlato:

  1. Criterio del rimborso forfettario;
  2. Criterio del rimborso misto;
  3. Criterio del rimborso analitico o a piè di lista.

Nel rimborso forfettario le indennità percepite per le trasferte fuori dal territorio comunale concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente per la parte che eccede € 46,48 al giorno elevate a € 77,46 per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e trasporto. 

Tale franchigia viene ridotta nel caso in cui il datore di lavoro oltre all’indennità forfettaria, rimborsi in modo analitico le spese di vitto ed alloggio. 

In tal caso i limiti delle deduzioni fiscali esenti da tassazione e contribuzione dovranno essere ridotti rispettivamente di un terzo e di due terzi.

Nel rimborso analitico non concorrono a formare il reddito per il lavoratore, indipendentemente dal loro ammontare, le spese di vitto, alloggio, trasporto, analiticamente documentate e rimborsate, compreso l’eventuale rimborso chilometrico per l’utilizzo della propria vettura da parte del lavoratore. Inoltre, il rimborso di eventuali altre spese, anche non documentate, purché però analiticamente attestate dal lavoratore, non è assoggettato a tassazione nella misura massima giornaliera di lire 30.000 pari ad € 15,49 per le trasferte in territorio nazionale ovvero a lire 50.000 pari ad € 25,82 in caso di trasferte all’estero.

Il rimborso misto invece è composto da un rimborso analitico delle spese documentate di vitto e di alloggio e da un’indennità forfetaria di trasferta. 

Anche in questo caso il rimborso analitico delle spese di viaggio, anche il c.d. rimborso chilometrico, e di trasporto non concorrono a formare reddito per il lavoratore, mentre, il rimborso delle altre spese non è soggetto a tassazione fino ai seguenti limiti: a) € 30,99 per trasferte in Italia e € 51,65 per trasferte all’estero, escluse le spese di vitto o alloggio; b) € 15,49 al giorno per trasferte in Italia ed € 25,82 per trasferte all’estero escluse le spese di vitto e di alloggio.

Infine vi sono i rimborsi a piè di lista che non costituiscono mai reddito per il lavoratore. Tali spese devono essere documentate dal prestatore.

La retribuzione delle ore di viaggio

Quando parliamo di tempo di viaggio facciamo riferimento al tempo necessario che occorre al lavoratore per recarsi sul luogo di lavoro, diversa dalla normale sede di lavoro.

Il principio generale prevede che non venga corrisposta alcuna indennità ulteriore al lavoratore, in riferimento al tempo che gli occorre per andare nella sua sede di lavoro, anche se il viaggio viene effettuato al di fuori delle ore di lavoro previste dal contratto.

In mancanza di accordi di natura collettiva o individuale, non devono essere retribuite in quanto rientranti nel trattamento di trasferta stabilito dai CCNL. 

Tuttavia sussistono discipline collettive (es. CCNL Metalmeccanici, CCNL Industrie Tessile) le quali prevedono una disciplina di favore relative alle “ore di viaggio”, determinando che tali ore siano retribuite totalmente o in misura percentuale rispetto alla normale retribuzione oraria e non possono essere gestiti in regime di esenzione contributiva o fiscale, in quanto non sono previste a livello normativo ipotesi di esclusione di questi emolumenti dal reddito del dipendente. 

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