Ogni azienda vanta un patrimonio materiale, come ad esempio l’immobili e immateriale, costituito da metodi produttivi, segreti d’impres ecc.. Chi opera all’interno dell’azienda deve rispettare il vincolo fiduciario del rapporto di lavoro. Tuttavia, non è raro che un dipendente arrechi un danno all’azienda, ponendo condotte lesive del rapporto fiduciario, pensiamo al caso di furto del patrimonio aziendale o di appropriazione indebita. 

Il furto in azienda è un fatto molto grave. In Italia ogni anno si verificano molti casi in cui i dipendenti sottraggono dal luogo di lavoro merce di proprietà dell’azienda o soldi, per uso personale o da rivendere illegalmente. C’è chi si appropria del denaro in cassa, chi preleva materiali di cancelleria dagli uffici, chi sottrae carburante, ecc… Scoprire furti in azienda in realtà non è semplice anche perché, spesso, chi realizza queste condotte non ha precedenti.

Quali sanzioni può adottare il datore di lavoro in questo caso? La lesione del rapporto di fiduciario tra datore di lavoro e dipendente può essere insanabile tale da non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro, neppure provvisoria. Proprio per questo, le sanzioni disciplinari possono arrivare fino al licenziamento. Tuttavia, in questo caso occorre rispettare una serie di limiti e vincoli a tutela del lavoratore, a partire dal termine entro cui deve avvenire la contestazione.

Appropriazione indebita e furto: quali sono le differenze?

Il reato di appropriazione indebita è disciplinato all’art.646 c.p. e dispone che:


Art. 646 c.p.
chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”. 

Il reato di furto è disciplinato dall’art. 624 c.p. e dispone che:


Art. 624 c.p.
Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per se’ o per altri, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire trecentomila ad un milione. Agli effetti della legge penale, si considera “cosa mobile” anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico. Il delitto e’ punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o piu’ delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7, e 625″”. 

Il possesso della cosa o del denaro denota la differenza con il furto, disciplinato dall’art. 624 c.p.. Mentre nel furto si sottrae a qualcun altro un oggetto legittimamente posseduto, nel caso dell’appropriazione indebita, chi compie il reato è già in possesso del bene di cui si appropria.

Pensiamo al dipendente a cui viene affidata una somma di denaro o un bene e se ne appropria dolosamente. La condotta è lesiva del vincolo fiduciario e della conservazione del patrimonio aziendale. 

Appropriazione indebita: come difendersi?

Il reato di appropriazione indebita è punibile a querela della persona offesa. L’onere della prova grava sulla persona offesa. Pertanto, il datore di lavoro dovrà acquisire le prove necessarie al fine di presentare una querela nei confronti del dipendente ritenuto colpevole. A tal fine sarà possibile acquisire delle prove, affidando un mandato ad un’agenzia investigativa. 

Anche le indagini informatiche, ad esempio come un controllo sui pc e sui dispositivi mobili aziendali affidati al dipendente, possono essere degli elementi utili

L’appropriazione illecita di beni della società accade molto frequentemente e, anche se gli oggetti sottratti non arrecano ingenti danni economici, causano comunque un danno al patrimonio e all’immagine della società.

Furto del patrimonio aziendale e licenziamento

Molte aziende subiscono furti da parte dei dipendenti in una forma o nell’altra. In alcuni casi il reato commesso è molto grave, pensiamo al furto di denaro dalle casse aziendali. Sul licenziamento per furto di denaro la Corte di Cassazione ha chiarito che è applicabile la giusta causa, e pertanto il licenziamento avviene in tronco senza preavviso. Tuttavia, più frequentemente, il furto è di modesta entità, pensiamo al lavoratore che sottrae le materie prime. In questi casi pur essendo una condotta di lieve entità se perpetrata nel tempo può arrecare gravi danni al patrimonio aziendale.

Il lavoratore dipendente che ruba beni aziendali può essere licenziato per giusta causa, ossia per un motivo talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Secondo quanto disciplinato dall’2119 c.c. il licenziamento, in questo caso, può avvenire in tronco, ovvero senza preavviso.

Nel licenziamento per furto aziendale occorre rispettare le garanzie previste per il procedimento disciplinare. In particolare, il furto deve essere contestato con precisione. Nella lettera di licenziamento, il datore di lavoro deve indicare in modo dettagliato quali sono le condotte lesive, l’arco temporale in cui sono state compiute e quali sono state le cose oggetto di furto. Inoltre, devono essere indicate le prove e la conseguente responsabilità di quel dipendente.

Il sospetto non può essere posto a fondamento del licenziamento.

La contestazione deve essere tempestiva, ovvero, non appena il datore di lavoro ha avuto piena contezza del fatto e del soggetto responsabile. Effettuata la contestazione al dipendete, il dipendente ha 5 giorni di tempo per presentare osservazioni a sua difesa e può anche chiedere di essere sentito personalmente. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere termini diversi e maggiori per ciascun comparto o settore di impiego. In ogni caso, questi diritti non possono essere negati al lavoratore, e solo all’esito del procedimento disciplinare il datore di lavoro potrà legittimamente licenziare il lavoratore se non ha accettato le sue motivazioni.

Qualora l’ammanco sia di lieve entità, tale condotta può comunque comportare l’irrogazione di un provvedimento disciplinare, come il licenziamento. Un orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di Cassazione evidenzia come sia irrilevante, ai fini del venir meno del rapporto fiduciario, la modestia economica del bene sottratto (Cass. n. 1814/2013).

Secondo la Corte, per valutare la proporzionalità tra il fatto addebitato e la sussistenza della giusta causa di licenziamento, è irrilevante l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale a carico del datore di lavoro, ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a mettere in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa. Il giudice deve accertare in concreto se la condotta posta dal dipendente sia idonea a ledere in modo grave la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente.

Illegittimità licenziamento

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 2869 del 31.01.2022 ha ritenuto illegittimo il licenziamento tardivo di un dipendente che aveva rubato materiali aziendali tre anni prima. Il datore di lavoro non ha saputo dimostrare il ritardo nel licenziamento. Ricordiamo che l’onere della prova ricade sulla persona offesa. Pertanto, il lavoratore ha impugnato il provvedimento del datore di lavoro e la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, in quanto il ritardo nel licenziamento poteva sembrare come se egli avesse “soprasseduto al licenziamento”, ritenendo “non grave” il furto commesso.

Tuttavia, in alcune casistiche, il ritardo del licenziamento può essere giustificato dalla struttura organizzativa dell’azienda. In particolare, la Corte ha affermato che:


“in tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza del provvedimento espulsivo rispetto alla mancanza addotta a sua giustificazione ovvero a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore, con la precisazione che detto requisito va inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso“.

Nell’ordinanza n. 2402 del 27 gennaio 2022, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che abbia sottratto documenti aziendali contenenti informazioni sensibili relative all’esercizio dell’attività d’impresa per avvalersene in un momento successivo. Secondo la Corte, ai fini della valutazione della gravità della condotta non assume rilievo:

  • la natura del materiale sottratto. In particolare, ciò che assume rilevanza è la provenienza aziendale del materiale. Accertata la provenienza aziendale ed esclusa l’appartenenza del lavoratore non rileva la materiale utilizzabilità dei documenti stessi;
  • se il materiale sottratto fosse di normale consultazione o se era consentita l’asportazione al di fuori dei locali aziendali.

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