Il marchio è innanzitutto un segno distintivo, idoneo a contraddistinguere un determinato prodotto e/o servizio e a soddisfare il bisogno del titolare dello stesso di essere riconosciuto all’interno del proprio mercato di riferimento dai consumatori, quale unico soggetto autorizzato a mettere in commercio beni contrassegnati con quel determinato marchio.
Abbiamo comunque parlato molto spesso e in modo approfondito del marchio e di tutti gli aspetti ad esso relativi; chiarita quindi, brevemente, la natura del marchio andremo ad esaminare, con il presente articolo, un particolare aspetto dello stesso: la contitolarità del marchio, ossia l’ipotesi nella quale il marchio appartenga a più soggetti e le problematiche relative a questa disciplina.
La disciplina in materia
L’art. 6 del Codice della Proprietà Industriale, che rinvia espressamente alla disciplina contenuta all’interno del Codice Civile, stabilisce che “le facoltà relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili”.
Nell’applicare le norme del Codice Civile richiamate dal Codice della Proprietà Industriale, ovvero gli art. da 1100 e seguenti sulla comunione, occorre precisare che l’estensione delle ipotesi di applicabilità del codice civile a diritti relativi a titoli di proprietà industriale è applicabile nella misura in cui le prime siano compatibili con la natura dei diritti di proprietà industriale. E’ chiaro come un simile richiamo susciti invero non poche perplessità, e non solo dal punto di vista fattuale.
Il legislatore infatti, nel delineare la disciplina in materia, avrebbe ben potuto dettare delle linee guida per regolare i rapporti interni tra i contitolari del marchio per esempio, magari concentrandosi sulla forma o sul contenuto di un eventuale accordo tra le parti oppure prevedere, ai fini della prova del contratto tra le parti, una forma di registrazione.
Invece, nel 2010, il legislatore è intervenuto ulteriormente sulla norma aggiungendo il comma 1-bis all’art. succitato che però, anziché chiarire meglio la portata della disposizione stessa, ha posto ulteriori problemi interpretativi.
In precedenza infatti la norma si limitava ad affermare che, quando un diritto di proprietà industriale è di più persone, si applicano le norme relative alla comunione, dettate dal codice civile. Il nuovo comma però ha aggiunto una serie di attività che possono essere effettuate da ciascun soggetto contitolare del marchio purché queste vengano intraprese “nell’interesse di tutti”.
I casi specifici elencati sono: “la presentazione della domanda di brevetto o di registrazione, la prosecuzione del procedimento di brevettazione o registrazione, la presentazione della domanda di rinnovo, ove prevista, il pagamento dei diritti di mantenimento in vita, la presentazione della traduzione in lingua italiana delle rivendicazioni di una domanda di brevetto europeo o del testo del brevetto europeo concesso o mantenuto in forma modificata o limitata e gli altri procedimenti di fronte all’Ufficio italiano brevetti e marchi”.
Posto che l’elencazione di cui sopra contempla anche il compimento di scelte che in regime di comunione (in senso civilistico) dovrebbero essere condivise, ciò che si avverte dalla lettura di questo comma è che l’elenco in essa contenuto rappresenti in realtà una semplice abilitazione al compimento di atti che possono essere stati adottati da tutti i comproprietari d’intesa tra loro, senza l’opposizione di nessuno di essi.
Il problema si pone però nel caso in cui chi ha operato non lo ha fatto “nell’interesse di tutti”; in questo caso si apre una questione che non inficia l’atto e il conseguente effetto: dovrà quindi essere il comproprietario del marchio, se in disaccordo, a far valere le proprie ragioni nelle sedi più opportune.
La fattispecie e le tipologie di comunione del marchio
Può parlarsi di comunione del marchio solo quando due o più soggetti vantino un legittimo diritto di esclusiva sullo stesso. Secondo la dottrina intervenuta nel corso del tempo sul punto esistono in realtà tre ipotesi principali di comunione di marchio, e si hanno quando:
- più soggetti, titolari di un unico marchio ma di imprese diverse, utilizzino il marchio per contrassegnare prodotti che ciascuno fabbrica e/o mette in commercio con la propria azienda;
- un marchio, appartenente a più soggetti (perché, ad esempio, registrato su domanda congiunta di più soggetti), venga poi utilizzato da un’azienda gestita da solo uno dei contitolari del marchio oppure da un soggetto terzo;
- più soggetti siano contitolari di un’unica impresa comune e il marchio venga utilizzato per i prodotti di questa.
L’applicabilità della disciplina civilistica della comunione al marchio: dottrina e giurisprudenza in materia
L’art. 6 CPI rinvia alle disposizioni del codice civile relative alla comunione, in quanto compatibili, senza però fornire alcuna indicazione da seguire in questo giudizio sulla compatibilità.
In merito all’applicabilità al marchio della disciplina concernente la comunione, di cui agli art. 1100 c.c. e seguenti, dobbiamo soffermarci brevemente sulla dottrina sviluppatasi in materia.
In particolare, la dottrina antecedente all’entrata in vigore del CPI riteneva che gli articoli da 1100 c.c. e seguenti fossero del tutto inapplicabili ai segni distintivi, mentre quella successiva, sebbene ritenga che “la disciplina della comunione di marchio necessiti, più di qualsiasi altro caso di comunione, che i condomini adottino un regolamento per supplire alle carenze del codice civile” non propende per la totale inapplicabilità della disciplina civilistica ai diritti di proprietà industriale ma invita ad una attenta riflessione caso per caso.
Anche la Corte di Cassazione è intervenuta con riguardo all’applicabilità della disciplina della comunione in materia di diritto industriale, ritenendo in particolare che, in caso di azione risarcitoria per lesione di un diritto, tale azione abbia natura personale.
Tale ipotesi quindi, secondo la Corte di Cassazione, non darebbe luogo ad ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero ad ipotesi nelle quali tutte le parti devono essere coinvolte per forza né tantomeno a carenza di legittimazione, né da lato attivo, né da quello passivo, anche in caso di pluralità di soggetti contitolari o corresponsabili.
Quindi se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti tutti possono agire nell’interesse comune a protezione del marchio o dell’invenzione ma non è mai consentito sfruttarla unilateralmente o cederla a terzi senza il consenso degli altri titolari.