Tassazione nella vendita di diamanti e pietre preziose: l’esenzione dalla tassazione sulla plusvalenza (ex art. 67 comma 1 lett. c-ter) del TUIR). Inoltre, aspetti successori con presunzione.


I diamanti grezzi, ovvero i diamanti non lavorati e non tagliati, sono da tempo considerati come una possibile forma di investimento e come strumento per tutelare il proprio patrimonio. I diamanti, essendo una risorsa naturale limitata, tendono ad avere un valore che rimane stabile nel tempo, rendendoli un rifugio sicuro contro l’inflazione e le fluttuazioni dei mercati finanziari.

A differenza di altri beni tangibili come l’oro o l’argento, i diamanti sono estremamente portatili e possono conservare un grande valore in un piccolo volume. Questo li rende particolarmente attraenti per chi desidera un investimento fisico che può essere facilmente trasportato o nascosto. Investire in diamanti grezzi può offrire una diversificazione del portafoglio, riducendo il rischio complessivo. Non sono correlati direttamente con i mercati azionari o obbligazionari, il che significa che possono offrire una protezione in periodi di volatilità del mercato. Negli ultimi anni è aumentata la proposta di investimenti in diamanti, presentati come “beni rifugio” idonei a diversificare i risparmi e liquidabili rapidamente.

Con l’aumento della domanda di diamanti nei mercati emergenti come Cina e India, e con l’esaurimento delle miniere esistenti, la domanda di diamanti grezzi potrebbe superare l’offerta in futuro, potenzialmente aumentando il loro valore. Come ogni investimento, anche l’acquisto di diamanti grezzi comporta dei rischi. Il mercato dei diamanti non è standardizzato come quello dell’oro, il che significa che i prezzi possono variare notevolmente. Inoltre, valutare la qualità e il valore di un diamante grezzo richiede una notevole esperienza e competenza.

Detto questo, andiamo a vedere di seguito perché i diamanti presentano vantaggi fiscali importanti.

Imposte dirette: l’esenzione da tassazione della plusvalenza

Le plusvalenze sono i guadagni che si ottengono dalla vendita di un bene a un prezzo superiore rispetto a quello di acquisto. Nel contesto dei diamanti, si tratta della differenza tra il prezzo di vendita del diamante e il prezzo di acquisto (o il valore di mercato al momento dell’acquisizione, se donato o ereditato).

I diamanti, tuttavia, non scontano alcuna tassazione sulla plusvalenza generata al momento della vendita. Il riferimento è dato dall’art. 67 co. 1 lett. c-ter) del TUIR, secondo il quale costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate, al di fuori dall’ambito d’impresa, “mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato“.

La norma, di fatto, non assoggetta a tassazione tutte le cessioni onerose di metalli preziosi ma, piuttosto, solo quelle che hanno ad oggetto, alternativamente, metalli preziosi:

  • Non lavorati (come, ad esempio, i lingotti, i pani, le verghe, i bottoni e i granuli);
  • Ceduti sotto forma di monete.

Dall’ambito applicativo della disposizione sono, quindi, escluse le cessioni di metalli preziosi lavorati come, ad esempio, i gioielli (vedasi la C.M. n. 165/E/98, § 2.2.3) o gli stessi diamanti. La ratio della disposizione è quella di andare a tassare solo le plusvalenze che derivano da variazioni del valore del metallo o delle monete coniate con il metallo. Tuttavia, la norma in commento non identifica chiaramente quali sono i metalli preziosi la cui vendita è in grado di generare plusvalenze imponibili (secondo dottrina prevalente platino, palladio, oro e argento). Pertanto, deve ritenersi (in assenza, comunque, di chiarimenti ufficiali) che i diamanti grezzi non siano inclusi nell’ambito applicativo della disposizione in commento.

Per approfondire: “Metalli preziosi ed oro da investimento: regime di tassazione“.

Diamanti ed imposta di successione

La disciplina sull’imposta di successione comprende anche denaro, beni mobili e gioielli. La disposizione di riferimento è data dall’art. 9, co. 2 del D.Lgs. n. 346/90.

Art. 9, co. 2 D.Lgs. n. 346/90
Si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli (*) e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore, salvo che da inventario analitico redatto a norma degli articoli 769 e seguenti del codice di procedura civile non ne risulti l’esistenza per un importo diverso

(*) – Non rientrano nella definizione di denaro, né di gioielli, i lingotti d’oro posseduti dal defunto, né le monete preziose.

Questa disposizione conferma che anche i gioielli (tra cui anche i diamanti incastonati in gioielli) rientrano nell’ambito dell’imposta di successione. Di tali beni deve essere effettuato un inventario analitico (da effettuare dopo la morte del de cuius). Tuttavia, qualora così non fosse vige la presunzione indicata nella disposizione di cui sopra. In questo caso si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento (10%) del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario. Il valore presunto, così calcolato, in ogni caso deve essere computato ai fini della franchigia. Pertanto, l’imposta di successione trova applicazione solo per l’eventuale eccedenza rispetto alla franchigia. Proviamo ad fare un esempio per capire meglio, tratto dalla sentenza n. 4751/2008 della Corte di Cassazione:

  • Eredità devoluta da un genitore a due figli per un valore complessivo di 2.200.000 euro, cui aggiungere denaro, gioielli e mobilia dichiarati per 10.000 euro;
  • Presunzione di denaro per un ammontare complessivo di 20.000 euro. Il calcolo da effettuare è il seguente: (2.200.000 – 1.000.000 x 2 = 200.000 x 10%), superiore quindi a quanto dichiarato (che non deve a questo punto essere considerato). Su tale valore si applicherà l’imposta di successione. Nessun problema di tassazione se comunque il valore della successione, comprensivo della presunzione, rimane sotto la franchigia.

L’importanza dell’inventario

Come è possibile osservare è di rilevante importanza la presenza dell’inventario per denaro, beni mobili e gioielli. Su questo aspetto deve essere indicata la Risoluzione n. 212/E/95 dell’Amministrazione finanziaria, con il quale è stato chiarito che la presunzione in oggetto è relativa. Pertanto, è sufficiente che l’inventario sia dotto di tutti i requisiti sostanziali e formali richiesti dal codice civile e dal codice di procedura civile. Questo significa, in altre parole, che non è necessario che la redazione dello stesso sia preceduta dall’apposizione dei sigilli. L’inventario deve essere compilato con l’osservanza delle norme prescritte dall’art. 775 c.p.c. e dovrà contenere l’esatta descrizione di tutti i beni (denaro, gioielli e mobili) di appartenenza del de cuius.

In questo scenario la presenza dei beni nell’inventario esclude dall’applicazione della presunzione. Pertanto, la presunzione vale in assenza di inventario, in quanto con la presenza dello stesso vale il valore (inferiore o superiore al valore presunto del 10%) inventariato.

Conclusioni

La normativa fiscale italiana relativa ai diamanti può rivelarsi complessa e può variare a seconda delle circostanze specifiche come acquisto, vendita o successione. Se stai considerando di investire in diamanti o hai realizzato una plusvalenza dalla loro vendita, è consigliabile consultare un legale o un commercialista per comprendere appieno le tue responsabilità fiscali e garantire la conformità alle leggi italiane.