Se l'attività di lavoro dipendente viene svolta in Italia, Stato che è anche quello di residenza fiscale del lavoratore, il datore di lavoro estero (che ha mantenuto il contratto di lavoro estero) non deve applicare ritenute fiscali. Altrimenti, il credito per imposte estere non è spettante.
Ti è mai capitato di ricevere una busta paga con ritenute fiscali applicate dal tuo datore di lavoro estero, per poi scoprire che l'Agenzia delle Entrate ti nega il credito d'imposta? Non sei solo. Questo scenario colpisce sempre più lavoratori residenti in Italia che lavorano (in smart working) per aziende straniere, creando situazioni di doppia imposizione apparentemente insolubili.
La questione tocca il cuore della fiscalità internazionale del lavoro dipendente: quando un datore di lavoro estero applica ritenute fiscali su redditi prodotti in Italia da un dipendente residente nel nostro Paese, spesso viola i principi fondamentali delle convenzioni contro le doppie imposizioni. Il risultato? L'Italia legittimamente nega il credito d'imposta per queste ritenute, lasciando il lavoratore in una situazione fiscale complessa.
In questo articolo scoprirai i principi giuridici che regolano questa materia, quando le ritenute applicate dal datore estero sono illegittime, e soprattutto come tutelare i tuoi diritti in questi casi delicati.
La regola del "primary right to tax"
Le convenzioni contro le doppie imposizioni seguono un principio chiaro: ogni reddito ha uno Stato che detiene il "diritto primario" di tassazione. Per i redditi da lavoro dipendente, questo diritto spetta generalmente al Paese dove l'attività lavorativa viene effettivamente svolta, non al Paese del datore di lavoro.
L'articolo 15 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni stabilisce il principio generale secondo cui i redditi di lavoro dipendente sono imponibili nello Stato di residenza del lavoratore, salvo che l'attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Quando l'attività si svolge effettivamente nell'altro Stato, si verifica una tassazione concorrente di entrambi gli Stati, con l'obbligo per lo Stato di residenza di eliminare la doppia imposizione attraverso il meccanismo del credito d'imposta.
Prendiamo un caso concreto: Mario Bianchi, ingegnere residente a Milano, lavora da remoto per una società tedesca. Nonostante il datore di lavoro sia in Germania, se Mario svolge tutta la sua attività lavorativa in Italia, il nostro Paese detiene il primary right to tax su quei redditi. La Germania, di conseguenza, non dovrebbe applicare ritenute fiscali su quella retribuzione.
Quando il datore di lavoro estero applica comunque ritenute in violazione di questi principi, l'Italia non può riconoscere il credito d'imposta perché significherebbe legittimare un'imposizione fiscale illegittima secondo i parametri convenzionali.
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