Le somme percepite a titolo di risarcimento danni sono imponibili fiscalmente solo se rientrano in quanto indicato dall’art. 6, co. 2 del TUIR. Tale disposizione prevede che “e somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se risultino destinate a reintegrare un danno da mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa, come, appunto, quello da perdita di chance”.
Quando il risarcimento danni è tassabile?
Possiamo schematizzare una regola generale secondo cui le varie tipologie di risarcimento possono essere esenti da tassazione tutte le volte in cui non vanno a sostituire la mancata percezione di un reddito. Quindi, tutte le volte in cui il risarcimento rappresenta una compensazione monetaria rispetto ad un danno riportato, come ad esempio quello della salute in conseguenza di un infortunio o di un incidente (anche stradale), non vi è imponibilità fiscale. Si tratta dei c.d. danni non patrimoniali, ovvero quelli attinenti alla sfera psico-fisica come il danno biologico, il danno morale, il danno esistenziale.
Appare, quindi, coerente la norma che prevede la tassazione soltanto quando il risarcimento riguarda la compensazione verso un mancato ritorno economico. Questo accade perché questa voce del risarcimento va a ricompensare la perdita di un reddito che, altrimenti, sarebbe stato percepito e quindi tassato. Il TUIR (art. 6, co. 2) prevede la tassazione solo per le indennità percepite anche a titolo di risarcimento dei danni che abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito. Tutte le altre voci di danno non sono tassabili.
In alcuni casi, deve essere tenuto presente che il discrimine tra danno emergente (il cui risarcimento è esente) e lucro cessante (il cui risarcimento è imponibile fiscalmente) può non essere di facile comprensione. È il caso, ad esempio, delle cause legate a questioni lavorative.
L’analisi dell’art. 6, co. 2 del TUIR
“in caso di proventi, indennità o risarcimenti sostitutivi di redditi, le somme riscosse, eventualmente anche per effetto di cessione dei relativi crediti, saranno assimilate ai redditi della stessa categoria di cui al comma 1″ (art. 6, co. 2 TUIR). |
Andando ad analizzare quanto indicato dall’art. 6, co. 2 del TUIR, devono devono essere ricondotte a tassazione le indennità incassate a titolo risarcitorio, allorquando abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente. In pratica, quindi, si rendono imponibili fiscalmente solo le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto danneggiato percipiente. Per contro, non assumono rilevanza reddituale, e non sono quindi tassabili, le indennità o risarcimenti destinati ad reintegrare il patrimonio o a risarcire la perdita economica subita (danno emergente). Ai sensi del citato art. 6, comma 2, TUIR, sono sempre escluse da tassazione le somme liquidate a titolo di invalidità permanente o per morte, quand’anche siano corrisposte in sostituzione e per la perdita dei redditi.
Dove si colloca il rimborso in dichiarazione dei redditi?
Per capire in quale quadro andare a collocare in dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Redditi P.F.) il risarcimento danni percepito a titolo di lucro cessante ci viene in aiuto lo stesso co. 2 dell’art. 6 del TUIR, secondo il quale:
“i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti“. |
Questo significa che prima di tutto occorre capire quale tra le sei categorie di reddito è quella interessata dal risarcimento. A quel punto, tale provento andrà inserito nel quadro dichiarativo connesso al reddito in questione. Naturalmente, nel caso è opportuno rivolgersi ad un dottore commercialista esperto, in caso di dubbi, al fine di evitare di evitare di commettere errori.
Che cosa si intende per danno patrimoniale?
Ai sensi dell’art. 1223 del c.c. il danno patrimoniale consiste nella lesione dell’utilità patrimoniale, vale a dire dell’interesse alla conservazione o al conseguimento del bene patrimoniale. Tale danno si suddivide in due fattispecie:
- Il danno emergente: si tratta di un pregiudizio patrimoniale subito a seguito dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento di un’obbligazione. Oppure nel caso di illecito extracontrattuale, in conseguenza del fatto illecito altrui. Per comprendere meglio si pensi alle possibili spese sostenute da un soggetto danneggiato per lesioni fisiche e/o psichiche legate ad un evento traumatico. Casi classici sono quelli di un incidente sul lavoro, un incidente stradale, etc;
- Il lucro cessante: si tratta di un pregiudizio patrimoniale legato al mancato guadagno che si è realizzato a seguito dell’inadempimento o del fatto illecito. Si tratta, quindi, dei proventi che si sarebbero ordinariamente prodotti in assenza del fatto. Ad esempio, il reddito che un professionista avrebbe percepito se non fosse dovuto restare fermo a causa del fatto avvenuto.
Chi decide il risarcimento danni?
È compito del giudice stabilire se il risarcimento in forma specifica sia possibile. Il danno risarcibile deve essere necessariamente “certo” quanto alla sua esistenza ed alla sua riferibilità causale al mancato adempimento.
Come si calcola il danno derivante dal mancato guadagno (lucro cessante)?
Può essere opportuno capire come, indicativamente, può essere quantificato un danno derivante da un mancato guadagno. Il risarcimento del danno emergente viene calcolato dal giudice sulla base della perdita di patrimonio che il soggetto è tenuto a dimostrare. Solitamente, tale calcolo viene effettuato dal giudice, che è chiamato a determinare il valore in modo diverso a seconda della tipologia di lavoro svolta. In particolare:
- Nel caso di lavoratore dipendente: il calcolo avviene sulla base del reddito da lavoro dipendente maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni previste per legge;
- Nel caso di lavoratore autonomo: il calcolo avviene sulla base del reddito netto più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato, ai fini IRPEF, negli ultimi tre anni. Il giudice deve prendere in considerazione non il reddito residuo dopo l’applicazione dell’imposta, bensì la base imponibile che il contribuente dichiara ai fini dell’imposta. In particolare, si tratta della differenza tra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d’acconto) ed il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale – analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati – senza possibilità di ulteriore decurtazione dell’importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d’imposta sofferte dal professionista.
Cosa si intende per danno non patrimoniale?
Ai sensi dell’art. 2059 c.c. il danno non patrimoniale è una lesione di interessi privi di valore economico, ma strettamente connessi alla persona. Ad esempio, può trattarsi della salute fisica e psicofisica di un soggetto. Quando si parla di danno non patrimoniale si fa riferimento al:
- Danno biologico, definito dagli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni come: “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato”;
- Danno esistenziale, ovvero il danno dinamico-relazionale, viene tradizionalmente definito come l’ingiusta lesione alle attività realizzatrici, alle abitudini di vita e agli assetti relazionali della persona. Consiste nelle conseguenze negative che un fatto illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.) o un inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c.) hanno avuto sulla sfera delle relazioni sociali, umane, affettive di un soggetto;
- Danno morale, il quale è normalmente definito dalla giurisprudenza come “l’ingiusto turbamento dello stato d’animo del danneggiato o anche nel patema d’animo o stato d’angoscia transeunte generato dall’illecito” (Cass. n. 10393/2002).
Chiarimenti di prassi sul risarcimento danni
DOCUMENTO DI PRASSI | CASISTICA |
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Risoluzione n. 155/E/2002 | L’art. 6, comma 2, del TUIR dispone che le indennità conseguite a titolo di risarcimento dei danni per la perdita dei redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti, ceduti o perduti. In tema di risarcimento danni o di indennizzi percepiti da un soggetto, è principio generale quello per cui laddove l’indennizzo vada a compensare in via integrativa o sostitutiva, la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero il mancato guadagno, le somme corrisposte, in quanto sostitutive di reddito, vanno assoggettate a tassazione e così ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente. Viceversa, laddove il risarcimento erogato voglia indennizzare il soggetto delle perdite effettivamente subite (il cd. danno emergente), ed abbia quindi la precipua funzione di reintegrazione patrimoniale, tale somma non sarà assoggettata a tassazione. Infatti, in quest’ultimo caso assume rilevanza assoluta il carattere risarcitorio del danno alla persona del soggetto leso e manca una qualsiasi funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi: pertanto gli indennizzi non concorreranno alla formazione del reddito delle persone fisiche per mancanza del presupposto impositivo. |
Risoluzione n. 106/E/2009 | Oggetto relativo al risarcimento del danno al diritto di immagine. Sono state ricondotte nell’ambito dei risarcimenti derivanti da lucro cessante ed assoggettate a tassazione quali redditi di lavoro autonomo le indennità corrisposte ad un professionista al dichiarato titolo di risarcimento del cd. “danno all’immagine”, forfetariamente determinate dall’autorità giudiziaria per risarcire, in realtà, una perdita che si sarebbe riflessa direttamente sulla clientela e sull’attività professionale e, quindi, sulla capacità reddituale. In particolare: “nell’ambito delle somme complessivamente attribuite al soggetto istante a titolo di danno ulteriore per la perdita di immagine e di opportunità professionali, occorre individuare la parte dell’indennità specificamente riferibile alla presunta perdita“. |
Risposta a interpello n. 185/E/2022 | Demansionamento – Perdita di chance. In tema di demansionamento, occorre distinguere il danno patrimoniale, derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore o dalla mancata acquisizione di maggiori capacità, con la connessa perdita di chances, ovverosia di ulteriori possibilità di guadagno (cfr. Cass., Sez. lav., 12/06/2015, n. 12253; 10/06/2004, n. 11045; 8/11/2003, n. 16792), da quello non patrimoniale, comprendente sia l’eventuale lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore, accertabile medicalmente, sia il danno esistenziale, da intendersi come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (cfr. Cass., Sez. Un., 24/ 03/2006, n. 6572; Cass., Sez. lav., 26/01/2015, n. 1327; 19/12/2008, n. 29832), sia infine la lesione arrecata all’immagine professionale ed alla dignità personale del lavoratore (cfr. Cass., Sez. lav., 3/05/2016, n. 8709; 20/02/2015, n. 3474; 4/03/2011, n. 5237). Per quanto riguarda in particolare, le somme erogate, che trovino titolo nella necessità di ristorare la perdita delle cosiddette “chance professionali” ossia connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa è stato chiarito che le stesse non sono imponibili. |