La questione posta all’Agenzia delle entrate, mediante risposta ad un interpello n. 590/E/2021, ha avuto ad oggetto l’applicazione della disciplina di cui all’art. 51 co 8-bis del TUIR. La norma disciplina di calcolo dei redditi da lavoro dipendente se quest’ultimo è prestato all’estero. In specie l’istante chiedeva come dovesse essere qualificato il reddito da lavoro dipendente prodotto mediante lavoro agile.
Nel caso in analisi, la società istante, residente in Italia e appartenente ad un gruppo tedesco, aveva distaccato all’estero presso la consociata tedesca, priva di una stabile organizzazione in Italia, una propria dipendente, con la quale aveva concluso un contratto e la stessa aveva assunto la qualifica di dirigente.
Tuttavia, la dipendente distaccata svolgeva la prestazione lavorativa per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi in via continuativa, in smart working. Il problema principale concerneva la circostanza che quest’ultima, lavoratrice in Germania, aveva fatto ritorno alla propria abitazione in Italia, durante i mesi dell’emergenza sanitaria.
Dunque, la società chiedeva come dovesse essere qualificato il reddito dea lavoro dipendente e se trovava applicazione la disciplina della doppia imposizione oppure meno.
Analizziamo insieme la vicenda.
Redditi da lavoro dipendente e lavoro agile: il caso
La questione posta all’attenzione dell’Agenzia delle entrate trova, anch’essa, la proprio origine nelle numerose difficoltà che hanno caratterizzato questi mesi di pandemia. Infatti, il caso riguarda molti lavoratori che si sono stati costretti allo smart working.
La società istante aveva promosso il seguente requisito all’Agenzia delle entrate. In primo luogo ha evidenziato come una propria dipendente distaccata svolge la prestazione lavorativa per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi in via
continuativa, in smart working. Tale prativa era stabile e non occasionale, ed esclusiva in favore della società tedesca distaccataria, a cui la società distaccante addebita tutti i costi relativi al contratto di lavoro.
La dipendente, tuttavia, ha continuato a svolgere la propria prestazione lavorativa in remote working in Italia, sempre a beneficio della società distaccataria.
La questione sostenuta dalla società istante, nel caso rappresentato trova applicazione la disposizione di cui all’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir anche nell’ipotesi in cui la prestazione lavorativa venga occasionalmente svolta dalla dipendente distaccata, dalla propria abitazione in Italia in modalità di lavoro agile, ovvero in smart working.
La disciplina dell’art. 51 del Tuir
L’art. 51 co 8-bis del Tuir prevede una particolare disciplina di calcolo dei redditi da lavoro dipendente se quest’ultimo è prestato all’estero. In particolare la norma afferma che:
Per l’applicazione della particolare disciplina occorre che:
- lavoratore mantenga la residenza fiscale in Italia;
- Il contratto di lavoro sia specificatamente per l’estero;
- La prestazione all’estero sia esclusiva e continuativa;
- Il soggiorno del lavoratore all’estero duri almeno 184 giorni nell’arco
di 12 mesi ( segmento che può essere anche a cavallo di due distinti periodi d’imposta); - Collocazione in un “ruolo estero”
- Le predette condizioni devono essere contemporaneamente soddisfatte.
- La mancanza anche di una sola condizione comporta la tassazione ordinaria
Esclusioni dal regime agevolato
Il regime agevolato di cui all’art. 52 co 8-bis del TUIR trova applicazione laddove siano rispettati i requisiti. Tuttavia a tal proposito dobbiamo menzionare delle eccezioni, ad esempio se:
- l’attività è prestata in Stati stranieri ove si prevede solo la tassazione nel Paese estero, grazie a delle convenzioni bilateriali che escludono la doppia imposizione;
- i soggetti non sono fiscalmente residenti in Italia;
- in caso di trasferta all’estero ( si applica il regime ordinario previsto per le trasferte)
- per i lavoratori c.d. “parasubordinati”.
Dove pagano le tasse i lavoratori in smart working?
La questione del reddito da lavoro dipendente prodotto mediante lavoro agile ha posto peculiari problemi in epoca covid. Molti lavoratori, infatti, hanno fatto rientro alle proprie abitazioni, magari in altro Stato, nella specie in Italia. In questo caso, se il periodo di tempo supera i 184 giorni previsti dalla normativa, che succede?
La risposta è stata offerta, in più occasioni, dall’Agenzia delle entrate.
Dove è esercitata l’attività lavorativa?
Il primo quesito che dobbiamo porci rispetto al reddito da lavoro dipendente è dove questo sia stato svolto. Secondo l’art. 15 del modello di convenzione OCSE, al fine di determinare il presupposto in questione è necessario andare a verificare dove il lavoratore, concretamente, ha svolto la propria prestazione lavorativa. Per questo motivo, il commentario all’art. 15 del modello OCSE precisa che bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. Pertanto, la tassazione del reddito deve avvenire nel Paese in cui è fisicamente svolta l’attività lavorativa, indipendentemente dal Paese ove si esplicano gli effetti di tale attività.
Il conteggio dei giorni
Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente, infatti, che il lavoratore presti la propria opera all’estero per più di 183 giorni nell’arco di dodici mesi. Il Legislatore, infatti, con l’espressione “nell’arco di dodici mesi” non ha inteso far riferimento al periodo d’imposta, ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari.
Per l’effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all’estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni:
- Il periodo di ferie,
- Le festività,
- I riposi settimanali
- Gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.
Nella fattispecie oggetto di interpello il requisito del soggiorno nel Paese estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi, necessario ai fini dell’applicabilità della retribuzione convenzionale prevista dall’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, non si ritiene rispettato qualora nel predetto arco temporale la dipendente distaccata in Germania svolga la prestazione lavorativa nel nostro Paese in modalità di lavoro agile, soggiornando, pertanto, all’estero per un periodo non superiore a 183 giorni.
Retribuzione convenzionale non applicabile in smart working: conclusioni
Nel caso di specie, quindi, il requisito dei 183 giorni di lavoro prestato all’estero non è stato rispettato. E’ stato, infatti sostenuto, che nel predetto arco temporale la dipendente distaccata in Germania ha svolto la prestazione lavorativa nel nostro Paese in modalità di lavoro agile, soggiornando, pertanto, all’estero per un periodo non superiore a 183 giorni.
Quanto ai lavoratori che hanno avuto una permanenza in Italia per più di 184 giorni durante il 2020, secondo le regole interne, devono essere considerati fiscalmente residenti in Italia perché qui hanno soggiornato per la maggior parte del periodo d’imposta. Per questo motivo è necessario prestare la dovuta attenzione sia al luogo dove viene prestata l’attività lavorativa, ma anche al Paese di residenza fiscale.