Il licenziamento e le dimissioni sono due modalità diverse volte a porre fine ad un rapporto di lavoro. Il licenziamento è un atto di interruzione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro, motivato da ragioni attinenti al datore stesso o a motivi disciplinari. D’altra parte, le dimissioni sono un atto di interruzione del rapporto di lavoro da parte del lavoratore, che decide di porre fine al rapporto. In entrambi i casi, ci sono periodi di preavviso da rispettare, ma le tempistiche e le modalità di comunicazione sono diverse.


Nel nostro ordinamento, questi due istituti sono regolati da leggi e di norme del codice civile. Vediamo di seguito quali sono le principali differenze.

Licenziamento: in cosa consiste?

Il licenziamento è l’atto con cui, il datore di lavoro recede unilateralmente dal contratto di lavoro, a prescindere dalla volontà del lavoratore. In caso di dimissioni, invece, la volontà di interrompere il rapporto di rapporto è del soltanto del dipendente. Esistono diversi tipi di licenziamenti, tra cui licenziamenti per giusta causa, giustificato motivo soggettivo, giustificato motivo oggettivo e collettivo.

Il licenziamento è regolato dalla Legge n. 604/1966 “Norme sui licenziamenti individuali” e la Legge n. 300/1970: lo Statuto dei lavoratori. La legge sui licenziamenti individuali, impone, ai fini della validità del licenziamento il requisito della forma scritta, oltre all’obbligo di motivazione. Pertanto, la comunicazione del licenziamento deve quindi contenere l’indicazione specifica dei dei motivi che lo hanno determinato.

  • Il licenziamento per giusta causa si verifica quando il dipendente ha commesso una grave violazione del contratto di lavoro o delle norme aziendali, rendendo impossibile il proseguimento del rapporto. Ad esempio, frode, furto o insubordinazione grave;
  • Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è dato da un comportamento negativo del dipendente che non raggiunge la gravità della giusta causa, come ad esempio un’assenza ingiustificata prolungata o una scarsa performance lavorativa;
  • Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo riguarda invece situazioni in cui il datore di lavoro deve procedere al licenziamento a causa di motivi economici, organizzativi o produttivi, come ad esempio la chiusura di un reparto o una riduzione del personale;
  • Il licenziamento collettivo si verifica quando un’azienda decide di licenziare un certo numero di dipendenti contemporaneamente, a causa di una ristrutturazione aziendale, crisi economica o altri motivi analoghi.

Il licenziamento è un atto unilaterale del datore di lavoro, a differenza delle dimissioni, che sono un’azione unilaterale del lavoratore.

Dimissioni

Le dimissioni sono l’atto attraverso il quale un lavoratore pone fine al proprio rapporto di lavoro con un datore di lavoro. In pratica, le dimissioni sono un’azione unilaterale del lavoratore, che decide di porre fine al rapporto di lavoro senza che ci sia una ragione specifica attribuibile al datore di lavoro.

Le dimissioni possono essere presentate per vari motivi, come ad esempio:

  • Trovare un lavoro migliore;
  • Voler intraprendere un’attività imprenditoriale;
  • Motivi personali, come ad esempio la necessità di dedicarsi alla famiglia o problemi di salute.

Si possono distinguere, con riferimento alle modalità di trasmissione e alle caratteristiche dei lavoratori, alcune tipologie di dimissioni: dimissioni volontarie; dimissioni per giusta causa; dimissioni soggette a convalida; dimissioni durante il periodo di prova.

In ogni caso, le dimissioni devono essere presentate in forma scritta e con un congruo preavviso, che varia in base al contratto collettivo di riferimento e alla durata del rapporto di lavoro.

È importante notare che se il lavoratore non rispetta il preavviso previsto, può essere costretto a pagare una penale al datore di lavoro. Inoltre, se le dimissioni sono presentate senza preavviso o in modo inopportuno, il lavoratore potrebbe perdere diritti come l’indennità di disoccupazione o il pagamento delle ferie non godute.

Nel nostro ordinamento, non sono ammesse le dimissioni estorte e non possono nemmeno essere “programmate in anticipo”, come spesso avveniva in passato con le c.d. “dimissioni in bianco”. Le dimissioni devono essere frutto di una libera scelta del lavoratore. Con il termine dimissioni in bianco, si intende una pratica che consiste nel far firmare al dipendente le proprie dimissioni in anticipo (generalmente al momento dell’assunzione) in modo tale che il datore di lavoro possa, in un secondo momento, completare senza rischiare eventuali contestazioni.

Al fine di evitare tali fenomeni, mediante il Jobs Act, entrato in vigore il 12 marzo 2016, è stato previsto che le dimissioni possono essere rassegnate esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali mediante il sito www.lavoro.gov.it, e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente. In alternativa è possibile rivolgersi a un soggetto abilitato, come un patronato ecc.

Le dimissioni rese con qualsiasi altra modalità sono inefficaci.

Le dimissioni possono avvenire anche per giusta causa, ad esempio per ritardo nel pagamento dello stipendio o di un mancato pagamento, per mobbing, abusi, e altri comportamenti gravi e oggettivi compiuti dal datore di lavoro. In questo caso, il dipendente può comunque accedere all’indennità di disoccupazione (NASPI). 

La differenza principale tra dimissioni e licenziamento riguarda il modo ed il tempo in cui possono essere realizzate. In caso di lavoro a tempo determinato né il lavoratore né il datore di lavoro possono interrompere il rapporto prima della sua scadenza, a meno che non vi sia una “giusta causa” per la loro decisione. Se si tratta di lavoro a tempo indeterminato, invece, il lavoratore può decidere di dar le dimissioni quando lo desidera, mentre il datore di lavoro può licenziarlo solo se sussiste una causa che giustifichi la sua decisione.

NASPI: spetta anche in caso di dimissioni?

In caso di licenziamento il lavoratore o la lavoratrice ha diritto di accedere alla NASPI, a prescindere dalla motivazione, quindi anche in caso di interruzione del rapporto di lavoro per giusta causa. Viceversa, in caso di dimissioni la NASPI non è riconosciuta, in quanto la decisione di interrompere il rapporto di lavoro è del lavoratore o della lavoratrice, l’unica eccezione riguarda le dimissioni per giusta causa, in questo caso è ammesso l’accesso all’indennità di disoccupazione.

Preavviso e data di decorrenza

Il codice civile, all’articolo 2118, comma 1, prevede che:

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità”.

Come abbiamo visto sopra, sia il datore di lavoro sia il lavoratore possono decidere di recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro (nei casi indicati sopra), dando un congruo preavviso.

La decorrenza del preavviso è disciplinata dalla contrattazione collettiva avendo riguardo alla tipologia del contratto di lavoro, alle mansioni del lavoratore, al suo inquadramento nonché all’anzianità di servizio maturata presso l’azienda. In quasi tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, il periodo di preavviso decorre dal 1° al 16° giorno di ciascun mese.

Il preavviso non decorre a fronte di:

  • Malattia;
  • Ferie;
  • Maternità;
  • Infortunio;

In questi casi il computo ripartirà dal giorno di rientro a lavoro del dipendente.

L’obbligo di preavviso è dovuto dal datore di lavoro in caso di licenziamento ma anche dal dipendente dimissionario. L’obbligo viene meno in caso di:

  • giusta causa: ossia un evento o comportamento che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro. L’articolo 2119 c.c. che dispone: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda”;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro: ossia se entrambe le parti decidono che è venuta meno la convenienza reciproca alla prosecuzione del rapporto lavorativo;
  • Non è tenuta all’obbligo di preavviso la madre lavoratrice che si dimetta nell’arco del periodo per il quale è previsto il divieto di licenziamento, vale a dire dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del figlio. La previsione si estende anche al padre lavoratore che usufruisca del congedo di paternità e anche in caso di affidamento o di adozione fino ad un anno dall’inserimento del minore all’interno del nucleo familiare.

Modalità Di Comunicazione

Il licenziamento e le dimissioni devono essere comunicate entrambi in forma scritta. Le dimissioni hanno effetto nel momento in cui viene data comunicazione al datore di lavoro e come vedremo di seguito possono essere revocate, ma solo con il consenso del datore di lavoro, mentre il licenziamento è valido solo alla conclusione del periodo di preavviso previsto dal contratto.

Le dimissioni devono essere comunicate dal dipendente, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche, utilizzando appositi moduli resi disponibili sul sito del Ministero del Lavoro. Il datore di lavoro deve comunicare telematicamente la cessazione del rapporto di lavoro ai servizi competenti.

Il lavoratore potrà scegliere:

  • ​inviare il nuovo modulo autonomamente tramite il sito del Ministero del Lavoro a cui è possibile accedere tramite SPID o CIE. In tal modo è possibile accedere al form online che permetterà di recuperare le informazioni relative al rapporto di lavoro da cui si intende recedere dal sistema delle Comunicazioni Obbligatorie. Per i rapporti instaurati precedentemente al 2008, invece, il lavoratore dovrà indicare la data di inizio del rapporto di lavoro, la tipologia contrattuale e i dati del datore, in particolare l’indirizzo email o PEC. Nell’ultima fase dovranno essere inseriti i dati relativi alle dimissioni o alla risoluzione consensuale o alla loro revoca.
  • rivolgersi a un soggetto abilitato (patronato, organizzazione sindacale, ente bilaterale, commissioni di certificazione, consulenti del lavoro, sedi territoriali competenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro) che avrà il compito di compilare i dati e inviarli al Ministero del Lavoro.

Ogni modulo salvato, dai soggetti abilitati o dai lavoratori, sarà caratterizzato da due informazioni identificative: la data di trasmissione (Marca temporale) e un codice identificativo coerente con la data.

Il lavoratore ha la possibilità di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale entro 7 giorni successivi alla comunicazione. Decorso il termine di 7 giorni utile per la revoca, per lo stesso rapporto di lavoro sarà possibile inviare nuove dimissioni, non revocabili.

La consultazione dei modelli telematici delle dimissioni volontarie/risoluzione consensuale e della loro revoca, è permessa, in sola lettura, ai datori di lavoro della propria azienda e alle sedi territoriali competenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Restano esclusi dal campo di applicazione della presente norma, i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il lavoro domestico, le dimissioni e la risoluzione consensuale disposta nelle sedi conciliative indicate nell’art. 2113 c.c., 4° comma e nelle Commissioni di certificazione.

Il datore di lavoro che decide di licenziare un suo dipendente, ha l’obbligo di darne comunicazione in forma scritta. Inoltre, è obbligato a specificare nella lettera i motivi per i quali è stato deciso il licenziamento.

Il licenziamento deve, quindi, essere comunicato per iscritto. Se i motivi non sono indicati, il lavoratore può farne specifica richiesta entro 15 giorni dalla notifica del licenziamento, ed essi dovranno essere indicati, per iscritto, dal datore di lavoro, entro 7 giorni.

Il licenziamento carente di firma o di motivazione può portare, su valutazione del giudice, alla reintegrazione del lavoratore e al risarcimento di importo pari ad almeno 5 mensilità di retribuzione.

È inefficace il licenziamento intimato verbalmente, o comunque senza forma scritta. Non è richiesta la forma scritta soltanto per:

  • lavoratori domestici;
  • lavoratori in prova;
  • lavoratori ultrasessantenni che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il licenziamento, a pena di inefficacia, dev’essere comunicato in forma scritta, occorre anche indicare la modalità di comunicazione utilizzata, che potrà essere:

  • raccomandata a mano;
  • raccomandata A/R;
  • PEC.

La lettera deve concludersi con data e firma del datore di lavoro e, nei casi di consegna a mezzo raccomandata a mano del lavoratore, con la firma di quest’ultimo per ricevuta, oltre alla data di notifica.

Al lavoratore sono concessi 5 giorni di tempo per presentare le proprie ragioni e difendersi. Decorsi i 5 giorni e ricevute eventuali giustificazioni, il datore di lavoro può procedere:

  • con l’invio della lettera di licenziamento;
  • con l’applicazione di altra sanzione entro 10 giorni dalla ricezione della risposta del lavoratore.

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