Nel linguaggio comune, quando ci si riferisce ai soggetti che fanno parte di un’associazione, i termini “associato” e “tesserato” vengono spesso utilizzati come sinonimi. In realtà, le due qualifiche presentano profonde differenze, che, se ignorate, possono minare la struttura associativa dell’ente.
Come vedremo, se da un punto di vista fiscale parlare di associato o di tesserato non ha particolare rilevanza, la distinzione tra le due figure assume sostanziale rilievo da un punto di vista giuridico e in modo particolare per gli enti associativi che hanno ad oggetto la pratica di attività sportive dilettantistiche, dove la presenza di associati e tesserati è più rilevante. E la confusione ingenerata in merito a tali figure può avere ripercussioni pesanti soprattutto in sede di verifiche fiscali da parte dell’Amministrazione Finanziaria, quasi sempre incentrate sull’accertamento del corretto rispetto del principio di democraticità della vita associativa.
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Qualifica di associato
La qualifica di ASSOCIATO presuppone la conclusione di un contratto fra l’associazione e il soggetto interessato a farne parte, condividendone le finalità ed assumendo i diritti e i doveri sanciti dallo Statuto.
L’associato è colui che partecipa attivamente alla vita associativa nel perseguimento degli scopi istituzionali e rappresenta la base su cui si fonda lo spirito democratico dell’associazione. Ed è proprio in virtù del principio di democraticità che, quando ci si riferisce alle associazioni, sarebbe più corretto, in relazione ai soggetti che la compongono, parlare di associati e non di soci, come invece accade per le società.
Nelle associazioni, infatti, in base al c.d. “voto per teste”, ogni associato in assemblea (l’organo decisionale che è chiamato a deliberare sulle questioni fondamentali dell’ente) può essere espressione di un solo voto, non esistendo quote attribuite a ciascuno. Nelle società, al contrario, il socio esprime il proprio voto in proporzione alla quota sociale che possiede e che può anche cedere a terzi.
Non è propriamente un divieto utilizzare un termine piuttosto che l’altro per identificare i soggetti che fanno parte di un’associazione, però parlare di socio piuttosto che di associato potrebbe compromettere lo spirito democratico su cui si fonda l’associazionismo.
Il rapporto associativo trova il suo fondamento giuridico nell’art. 18 della Costituzione ed è disciplinato dagli artt. 36 e ss. del Codice Civile. Esso si fonda sulla necessità di una manifestazione di volontà e su un contratto plurilaterale a struttura aperta che prevede la condivisione degli scopi statutari. Si tratta di un contratto la cui forma scritta non è richiesta per la sua validità ma solo per fini probatori ed è un contratto aperto in quanto i soci possono entrare ed uscire dall’associazione in modo libero (osservando ovviamente tutte le regole statutarie) e senza che ciò comporti modifiche allo Statuto, diversamente da quanto accade al contratto costitutivo di una società.
Le regole che disciplinano il rapporto associativo sono sancite dallo Statuto adottato dall’associazione nel rispetto dei principi di effettiva e democratica partecipazione alla vita associativa di tutti i suoi componenti, e riguardano le modalità di ammissione ed esclusione nonché i diritti (come ad esempio il diritto di partecipazione alla vita associativa, di elettorato attivo e passivo, di informazione inerenti la vita associativa, ecc.) e i doveri (come ad esempio il dovere di contribuire al perseguimento degli scopi sociali, di rispettare le norme statutarie, di pagare annualmente la quota associativa, ecc.) dei singoli associati.
Per assumere la carica di associato occorre seguire uno specifico iter amministrativo che trova il suo fondamento nelle regole dallo Statuto. In generale:
- l’interessato dovrà presentare una specifica domanda di ammissione all’associazione;
- la domanda dovrà essere sottoposta agli organi competenti che ne controlleranno la formale regolarità nel rispetto di quando indicato nello Statuto. In genere, l’organo chiamato a deliberare in merito all’ammissione di un associato è il Consiglio Direttivo, ma nulla vieta che da Statuto si stabilisca che la deliberazione venga adottata dall’Assemblea, singolarmente o anche in accordo con il Consiglio;
- nel caso di accoglimento, il richiedente verrà iscritto nel Libro degli Associati e da tale momento si perfezionerà lo status di associato.
Tra i doveri che ricadono in capo agli associati vi è quello relativo al pagamento della c.d. “quota associativa”, ovvero la somma di denaro che sarà necessario pagare per entrare a far parte dell’associazione e che successivamente dovrà essere pagata ogni anno per conservare i diritti che spettano all’associato.
L’obbligo del versamento della quota è previsto dallo Statuto, che potrebbe anche stabilire condizioni di esonero per taluni soci, come sovente accade per quelli onorari, o differenziazioni circa la sua entità. L’importante è che quote associative diverse non rappresentino la condizione di una disparità di trattamento nei diritti spettanti agli associati per il solo fatto di rientrare in una categoria di associati piuttosto che in un’altra. In tal senso si esprime la Circolare 18/E del 1/8/2018, che, fatta salva la possibilità che l’ente stabilisca quote associative di ammontare diverso per diverse categorie di associati, al paragrafo 7.4 precisa che il principio della democraticità s’intende violato qualora si riscontrino nell’associazione elementi quali “la presenza di diverse quote associative alle quali corrisponda una differente posizione del socio in termini di diritti e prerogative, rispetto alla reale fruizione e godimento di determinati beni e servizi; l’esercizio limitato del diritto di voto – dovuto alla presenza, di fatto, di categorie di associati privilegiati – in relazione alle deliberazioni inerenti l’approvazione del bilancio, le modifiche statutarie, l’approvazione dei regolamenti, la nomina di cariche direttive, ecc..”.
L’entità della quota viene stabilita all’inizio di ogni anno dal Consiglio Direttivo tramite apposito Verbale e il suo regolare versamento consente agli associati di mantenere i diritti loro spettanti. Gli Statuti possono, al riguardo, anche stabilire che la condizione di morosità in cui dovesse trovarsi un associato costituisca causa di esclusione dall’associazione.
Qualifica di tesserato
La qualifica di TESSERATO, o iscritto, si parla generalmente facendo riferimento alle attività di associazioni e società sportive dilettantistiche, e la relativa qualifica rappresenta la modalità attraverso cui un soggetto possa far parte dell’ordinamento sportivo.
Più precisamente, il tesseramento è l’atto mediante il quale si aderisce, per il tramite dell’associazione o della società sportiva, alla Federazione o all’Ente di promozione di riferimento per lo sport praticato. Per questa ragione è definito come rapporto trilaterale, in cui sono coinvolti il tesserato, l’associazione (o la società) sportiva e l’organismo affiliante. In sostanza, i soggetti interessati alla pratica di discipline sportive, grazie all’associazione ottengono il tesseramento all’organismo di affiliazione (Federazione Sportiva Nazionale – Ente di Promozione Sportiva – Disciplina Sportiva Associata) cui la stessa è affiliata. Solo in questo modo acquisiranno lo status di sportivi e saranno riconosciuti come soggetti dall’ordinamento sportivo.
Con il perfezionarsi di tale rapporto, infatti, che generalmente ha durata annuale, il tesserato diventa titolare di un complesso di diritti e di doveri. Si pensi, ad esempio, al diritto di partecipare alle competizioni sportive, oppure alla copertura assicurativa che si rende necessaria nell’ambito della pratica sportiva.
Il tesseramento può anche avvenire in via diretta, quindi senza l’intermediazione di un’associazione sportiva, ma ciò si verifica solo in casi rari e particolari, come ad esempio per gli ufficiali di gara che generalmente non sono legati ad alcuna associazione.
A differenza del rapporto associativo, il tesseramento non lega il soggetto all’associazione, ma all’organismo di affiliazione sportiva, che per il suo tramite gli rilascerà una specifica tessera con cui gli riconoscerà lo status di sportivo.
Il tesserato sportivo, inoltre, non è soggetto al pagamento della quota associativa. Potrebbe, piuttosto, essere chiamato a versare un contributo sottoforma di quota per l’iscrizione alle attività sportive svolte dall’ente associativo (fiscalmente si tratta dei c.d. “corrispettivi specifici”). Tale somma va versata prima che inizino le singole attività in quanto il pagamento costituisce il requisito per il loro svolgimento.
Il tesserato non dovrà nemmeno essere coinvolto nei fatti riguardanti la vita associativa, come ad esempio partecipare alle assemblee, visto che, in via di principio, il suo è un interesse solo sportivo. Tale circostanza cade solo nell’ipotesi in cui, come si avrà modo di vedere nel paragrafo successivo, l’interesse sportivo e quello associativo risultino coesistenti in capo al soggetto interessato, per cui il tesserato sarà anche associato e in quanto tale sarà tenuto al pagamento anche della quota a suo carico e a partecipare alle vicende della vita associativa .
Rapporti tra associato e tesserato
Come appena anticipato, le due qualifiche analizzate non si escludono. Nulla, infatti, vieta che un tesserato possa anche rivestire la qualifica di associato. In linea generale, l’elemento qualificante le due figure risiede negli interessi da cui sono animate: pratica sportiva da un lato e vita associativa dall’altro; interessi, però, che possono anche coesistere pur rimanendo comunque formalmente distinti. Quindi, anche se le due qualifiche dovessero risiedere in capo allo stesso soggetto, sarà necessario tenere distinte le procedure di formalizzazione dei due rapporti.
Da precisare che quanto appena descritto ha valenza solo in linea generale, nel concreto sarà necessario sempre verificare quanto dispongono in merito gli Statuti degli enti presso cui l’associazione è affiliata. Non di rado, infatti, si hanno casi di enti che pongono come condizione per il tesseramento anche la qualifica di associati. E’ evidente che in tali circostanze, visto che l’associazione è tenuta a rispettare integralmente le normative indicate dagli enti presso cui si affiliano, le due figure non potranno che sovrapporsi.
Altra questione rilevante che necessita di essere affrontata riguarda il rapporto tra numero di associati rispetto a quello dei tesserati affinché si possa dire garantito il principio di democraticità, il rispetto del quale permette di poter godere delle agevolazioni fiscali previste per gli enti di natura associativa sportivo-dilettantistici.
Al riguardo si fa presente che non c’è nessun dettato normativo che stabilisce, quantificandolo, quale debba essere il numero di associati minimo affinché venga rispettato tale principio. Come pure (lo abbiamo visto poco sopra) è legittima la possibilità che le due qualifiche ricadano in capo allo stesso soggetto. La questione della sproporzionalità del rapporto tra associati e tesserati può rilevare, piuttosto, in sede di verifiche fiscali e può essere considerato un indizio del carattere di commercialità delle attività svolte. Se dunque la platea dei tesserati è in numero di gran lunga superiore rispetto agli associati, in presenza di altri elementi che mostrino che di fatto l’attività svolta è di tipo commerciale piuttosto che istituzionale, gli organi verificatori potrebbero dar luogo a contestazioni. Il perseguimento degli scopi sociali, infatti, presuppone che il numero di associati sia sufficiente a poterlo garantire. Se ci sono, ad esempio, solo tre associati che sono contemporaneamente anche consiglieri, a fronte di 300 tesserati, si può prospettare, sempre in presenza di altri requisiti, che ci si trovi di fronte non ad un’associazione ma ad una società lucrativa a tutti gli effetti. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate o altro ente verificatore potrebbe accertare il carattere commerciale e non istituzionale dell’attività, contestando che nella sostanza questa viene svolta nei confronti di soggetti qualificabili come veri e propri clienti ai quali viene formalmente attribuita la qualifica di tesserati solo per usufruire delle agevolazioni fiscali previste (come vedremo, infatti, ogni tipo di quota pagata da un tesserato per lo svolgimento di attività sportive sarà per il fisco considerata “decommercializzata”, cioè non soggetta ad imposizione fiscale in capo all’associazione che la incassa).
Allo stesso modo, occorre evitare che venga a verificarsi la situazione opposta, e che cioè l’associazione abbia, rispetto al numero dei tesserati, un’ampissima base associativa. E’ il caso che si verifica spesso per le associazioni sportive che gestiscono impianti o che svolgono attività rivolgendosi ad una platea molto estesa di fruitori giovanili. In tale circostanza potrebbe risultare alquanto difficile la gestione dell’associazione e garantire il raggiungimento degli scopi istituzionalmente rilevanti, e ciò basterebbe ad indurre l’ente verificatore a disconoscere la qualifica non commerciale della stessa.
Aspetti fiscali
Distinguere le figure analizzate è di fondamentale importanza ai fini dell’assoggettamento alle norme fiscali delle somme dalle stesse versate a vario titolo all’ente associativo.
In linea generale, le quote versate dagli associati (quote associative annuali) e dai tesserati (quote di iscrizione o di frequenza) ai fini delle Imposte dirette e dell’Iva sono considerate dal legislatore come “decommercializzate”, ovvero non assoggettate ad imposizione fiscale, a condizione, però, che l’associazione:
- sia una concreta realtà associativa;
- sia retta dal principio della democraticità;
- sia senza scopo di lucro;
- svolga in via prevalente una delle attività qualificate come sportive dilettantistiche dal CONI;
- presenti uno statuto che rispetti le norme contenute agli artt. 148, comma 8, T.U.I.R. e 4, comma 4, d.p.r. 633/72;
- abbia presentato il modello EAS.
È l’articolo 148 del T.U.I.R. a stabilire la non imponibilità, ai fini delle imposte sul reddito, delle quote associative e dei corrispettivi versati dai tesserati (c.d. “corrispettivi specifici”), che al comma I recita:
Tra i soggetti qualificati ai fini della decommercializzazione delle quote versate rientrano anche i c.d. “tesserati indiretti”, vale a dire coloro che sono tesserati allo stesso ente di affiliazione mediante altre associazioni. Ogni associazione, infatti, può far partecipare alle proprie attività sportive, oltre che i propri iscritti, anche i tesserati per il tramite di altre associazioni, a condizione che queste siano affiliate al medesimo ente (si tratta tecnicamente del c.d. fenomeno di circuitazione della tessera), senza con ciò perdere le citate agevolazioni fiscali. In tal caso, le entrate saranno sempre e comunque decommercializzate al pari di quelle ricevute dai propri associati e tesserati. A tal fine l’art. 148 al comma III dispone:
Questa condizione è anche ribadita al punto 7.1. della già richiamata circolare 18/E dell’Agenzia delle Entrate.
Disposizione simile è prevista, ai fini IVA, dall’art. 4, comma 4, del D.P.R. 633/1972.
Da quanto sinora esposto si evince chiaramente che qualora i servizi resi dall’associazione siano rivolti a soggetti terzi, quindi non associati e non tesserati (anche indiretti), le somme per gli stessi incassate saranno identificate come commerciali e quindi oggetto di imposizione fiscale.