Il reato di bancarotta consiste nella sottrazione del proprio patrimonio alle pretese dei creditori. Vediamo le varie tipologie di bancarotta e le innovazioni alla luce del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Il reato di bancarotta si configura qualora un imprenditore o una società dichiarati falliti con sentenza dall’autorità giudiziaria mettono in atto azioni al fine di sottrarre ai creditori di rifarsi sul patrimonio personale o sociale. La sua disciplina è rinvenibile dagli art. 216 e 217 del R.D. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare). Non è possibile fornire una definizione univoca della bancarotta perché sussistono diverse figure, quali:
- Bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 co. 1 n. 1);
- Bancarotta fraudolenta documentale (art. 216 co. 1 n. 2);
- Bancarotta fraudolenta preferenziale (art. 216 co. 3);
- Bancarotta semplice (art. 217).
Le varie tipologie si distinguono per le diverse condotte e i diversi stati psicologici necessari affinché si configurino le varie fattispecie. L’elemento costitutivo comune alle varie tipologie di bancarotta è la dichiarazione giudiziale di fallimento dell’imprenditore commerciale o della società che si rendono penalmente responsabili a causa delle loro condotte.
In virtù del richiamo effettuato a queste norme, da parte delle norme che disciplinano il concordato preventivo, tali fattispecie possono trovare applicazione anche nell’ambito della procedura concordataria. Sono, invece, escluse le imprese non soggette al fallimento nè al concordato preventivo.
La ratio del reato di bancarotta è piuttosto evidente: è la tutela dei creditori. La bancarotta offende i creditori o perché riduce la garanzia patrimoniale generica:
- la distrazione incide sulla quantità del patrimonio e quindi sulla possibilità di soddisfazione;
- oppure perché altera la par condicio tramite il pagamento preferenziale;
- oppure incide sulla documentazione, sulla possibilità di ricostruire esattamente la situazione patrimoniale, quindi sulla possibilità di capire quant’è la consistenza della garanzia patrimoniale generica e anche questo indirettamente lede i creditori.
Infatti, se non è ben rappresentata documentalmente la situazione patrimoniale ci sono inevitabilmente difficoltà anche nell’agire in via esecutiva.
Indice degli Argomenti
- Quali sono i presupposti della bancarotta?
- Sentenza dichiarativa di fallimento: cos’è?
- Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
- Il reato di bancarotta fraudolenta documentale
- Il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale
- Il reato di bancarotta semplice
- Sanzioni
- Concorso nel reato
- Il reato di bancarotta fraudolenta in corso con il reato di bancarotta documentale
- Continuazione fallimentare
- Concordato
- Cessione d’azienda
Quali sono i presupposti della bancarotta?
Il reato di bancarotta fraudolenta ha come presupposto principale la dichiarazione di fallimento. Sua natura dell’elemento in questione è stata a lungo a dubbio. Ad oggi la tesi prevalente afferma che è una condizione obiettiva di punibilità.
L’articolo 44 del codice penale introduce il concetto di condizione di punibilità affermando che:
Le condotte del reato di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’articolo 216 della legge fallimentare, possono essere poste in essere prima o dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Il reato si perfeziona ma la sua punibilità si genera solo al verificarsi di una condizione che è la dichiarazione di fallimento.
Sentenza dichiarativa di fallimento: cos’è?
Per molto tempo la giurisprudenza qualificava, ambiguamente, la sentenza dichiarativa di fallimento né come un elemento costitutivo né come una condizione di punibilità ma come una sorta di condizione di esistenza del reato. Si diceva che questo elemento è:
- certamente estraneo al fuoco del dolo,
- opera oggettivamente per il solo fatto che è pronunciata
- con essa identificava il locus ed il tempus commissi delicti.
Sul punto, è poi intervenuta la Cassazione a sezioni semplici, con una rivisitazione di tutti gli orientamenti. La Corte ha accolto la tesi diciamo ad oggi prevalente, per la quale la sentenza dichiarativa è in realtà una condizione di punibilità estrinseca.
Sostiene l’interprete, che la condotta dell’imprenditore è compiutamente offensiva, perché i fatti che compie arrecano un pregiudizio ai creditori. Perché allora aspettare il fallimento? Si ritiene che l’esercizio dell’azione penale potrebbe comportare il definitivo tracollo dell’impresa. In tal modo, si escluderebbe la facoltà di recuperare parte della liquidità per soddisfare i creditori.
Quindi per ragioni di opportunità si attende il fallimento perché punirlo in una fase antecedente significa alla fine spingerlo compromettere le ragioni creditorie. Dunque, è una condizione estrinseca, che esclude l’accertamento sia del rapporto di causalità che dell’elemento di colpevolezza, in quanto è diretta alla tutela del credito. Il credito dell’imprenditore perché è molto importante. Invero, è importante tutelare i creditori dell’imprenditore anche per ragioni di economia generale, di ordine pubblico economico. Infatti, è proprio mediante la tutela del credito che si consente alle imprese di ottenere liquidità per il loro sostentamento.
Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
L’art. 216, co.1 disciplina il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale:
Distruzione
Fra le attività elencate dalla norma la più grave è la distruzione in quanto rimuove completamente e definitivamente il patrimonio dall’attenzione dei creditori.
La condotta di distruzione consiste nell’attività di eliminazione o riduzione del valore di un bene potenzialmente utile al soddisfacimento dei creditori. E’ un comportamento commissivo e non omissivo.
Dissipazione
La dissipazione è integrata allorquando l’imprenditore sperpera il proprio patrimonio, assumendo impegni economici ed effettuando spese sproporzionate rispetto allo stesso.
La Dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere integrato il reato, in presenza della non necessarietà e la consistenza significativa rispetto all’entità patrimoniale.
Distrazione
Per distrazione si intende l’utilizzo da parte dell’imprenditore dei propri beni per scopi estranei all’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Occultamento e simulazione
L’occultamento e la dissimulazione sono delle condotte con cui l’imprenditore nasconde i propri beni. Nel primo caso lo fa materialmente utilizzando mezzi giuridici idonei ad occultare il patrimonio. Nel secondo caso lo fa apparentemente facendo apparire il trasferimento dei beni nella sfera giuridica di altro soggetto.
Esposizione e riconoscimento di passività inesistenti
La condotta di esposizione è integrata, nel momento in cui viene rivelato un stato patrimoniale passivo più consistente di quanto lo sia realmente. Ad esempio caricando i debiti o le altre passività.
La condotta di riconoscimento di passività inesistenti, si realizza quando non viene contestato un credito vantato da terzi per aumentare il conto debiti del passivo dello stato patrimoniale.
Fallimento
Nel caso di bancarotta “postfallimentare”, il fallimento è un presupposto del reato. Dibattuto è, invece, il caso della bancarotta “prefallimentare”.
La punibilità riguarda la violazione delle regole gestionali di buona amministrazione poste a protezione delle pretese creditorie.
La dottrina e la giurisprudenza, sono concordi nel ritenere che il fallimento debba considerarsi quale condizione obiettiva di punibilità, cioè un avvenimento che condiziona “dall’esterno” l’applicazione della sanzione penale.
Ci sono, tuttavia, sentenze che qualificano la dichiarazione di fallimento come elemento costitutivo del reato, ossia un elemento della fattispecie criminosa in assenza del quale la stessa non può dirsi perfezionata.
Parte della giurisprudenza ritiene possibile la commissione di fatti distrattivi o dissipativi anche attraverso la realizzazione di un piano di concordato preventivo approvato da parte dei creditori e omologato del Tribunale, quando tale piano sia congegnato in maniera frodatoria, per la realizzazione di interessi diversi da quelli sottesi alla normativa concordataria (Cass. pen. n. 50675/2016).
Il reato di bancarotta fraudolenta documentale
Nelle ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale sono sanzionate le inadempienze relative alla tenuta della contabilità.
Rilevano in tal senso sia le scritture contabili obbligatorie e quelle facoltative, previste dalla legislazione civilistica, tributaria o previdenziale.
La prima parte della norma punisce la sottrazione, distruzione o falsicazione di tali scritture, a prescindere che ne derivi una diffcoltà di ricostruzione del patrimonio.
L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico consistente nello:
Il reato di bancarotta fraudolenta documentale può concorrere con il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, disciplinato dall’art. 10 del DLgs. n. 74/2000, laddove le scritture contabili siano tenute in modo irregolare e, poi, vengano sottratte o distrutte subito dopo la dichiarazione di fallimento al ne di evasione, come è stato chiarito dalla Cass. pen. n. 11049/2018.
Il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale
L’art. 216 co. 3 disciplina il reato di bancarotta preferenziale (volta a tutelare la “par condicio creditorum”). Il reato può essere integrato, tramite, due condotte, tra loro alternative:
- Eseguendo pagamenti di crediti in via preferenziale;
- Simulando titoli di prelazione.
La condotta può essere realizzata prima o durante la procedura fallimentare.
Il DL n. 35/2005 che ha ridisegnato l’art. 67 della legge fallimentare. In particolare:
- Riduzione del “periodo sospetto” (oggi di un anno, rispetto ai 2 anni precedenti) a cui riferire le operazioni poste in essere;
- L’attuale co. 3 dell’art. 67 prevede un elenco di esenzioni dalla revocatoria fallimentare.
Il giudice penale, a prescindere dalla possibile efficacia civile, deve verificare la natura dell’operazione e l’elemento soggettivo che l’ha sorretta.
Riguardo all’elemento soggettivo è controverso se lo “scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi” integri o meno un dolo specico (Cass. pen. n. 15712/2014 e 7593/2014).
Il reato di bancarotta semplice
Il reato di bancarotta semplice ha una funzione residuale rispetto alla bancarotta fraudolenta.
Le condotte sono molteplici e, come per la bancarotta fraudolenta, possono avere natura “patrimoniale” o “documentale”.
Viene punito l’imprenditore, se dichiarato fallito, che:
- Ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;
- Ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
- Compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
- Aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;
- Non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
Il reato di bancarotta semplice documentale
Il reato di bancarotta semplice documentale è reato di pericolo astratto, avente ad oggetto le scritture obbligatorie e i libri prescritti dalla legge, e può essere realizzato tramite una pluralità di condotte consistenti in:
- Un’omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili prescritti dalla legge;
- L’irregolarità della tenuta di tali documenti, inteso come mancato rispetto dei requisiti formali e sostanziali richiesti dalla legge o dalla prassi commerciale;
- La loro incompletezza, nel caso in cui, stante la regolarità formale, si riscontrino intermittenze o lacune.
Sanzioni
Fattispecie | Pena principale | Pena accessoria |
Bancarotta fraudolenta patrimoniale | Reclusione da 3 a 10 anni | Inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa “fino a” 10 anni (durata modificata da Corte Cost. 222/2018) |
Bancarotta fraudolenta documentale | Reclusione da 3 a 10 anni | Inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa “fino a” 10 anni (durata modificata da Corte Cost. 222/2018) |
Bancarotta fraudolenta preferenziale | Reclusione da 1 a 5 anni | Inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa “fino a” 10 anni (durata modificata da Corte Cost. 222/2018) |
Bancarotta semplice | Reclusione da 6 mesi a 2 anni | Inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a 2 anni |
Pene accessorie
La Corte Cost., con la sentenza n. 222/2018 ha dichiarato l’illegittimità le seguenti pene accessorie, per il reato di bancarotta:
- Della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale;
- Dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi in qualsiasi impresa.
In particolare, i giudici hanno dichiarato illegittimo l’ultimo comma dell’art. 216 del R.D. n. 267/1942 nella parte in cui dispone:
anziché che
Tali pene accessorie devono, quindi, essere determinate in concreto dal giudice di merito facendo ricorso ai parametri di cui all’art. 133 c.p. e dando conto nella motivazione delle considerazioni svolte (Cass. Sezioni Unite n. 28910/2019).
Determinazione delle pene accessorie dal giudice
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 28910/2019 hanno superato, il proprio precedente orientamento, stabilendo che le pene accessorie per le quali la legge indica una durata non fissa devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p.
Le pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta, mediante l’introduzione della previsione della durata massima “fino a dieci anni“, devono essere determinate in concreto dal giudice di merito, in base all’art. 133 c.p. e motivando le considerazioni svolte.
Concorso nel reato
I giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 19601/2008, hanno affermato che il concorso di persona non qualificata nel reato di bancarotta fraudolenta richiede che la persona in commento, sia consapevole, della qualità di imprenditore del soggetto attivo primario, anche se non è necessario che la stessa si rappresenti la sussistenza dei requisiti soggettivi di fallibilità dell’imprenditore.
Inoltre, i giudici di legittimità, hanno affermato che il reato di bancarotta fraudolenta, sia per fallimento dell’impresa individuale, sia per fallimento dell’impresa societaria, è un reato proprio. Pertanto, può essere commesso soltanto dall’imprenditore dichiarato fallito e dagli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori della società dichiarata fallita.
L’extraneus è chiamato a rispondere in concorso con il soggetto qualificato, qualora venga realizzata, almeno una delle seguenti casistiche:
- L’attività tipica di almeno un “intraneus”;
- Il contributo causale sul verificarsi del fatto da parte del terzo;
- La consapevolezza di quest’ultimo circa la qualifica del soggetto “intraneus”.
Il reato di bancarotta fraudolenta in corso con il reato di bancarotta documentale
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 55409/2017, ha affrontato un caso in cui veniva contestualmente contestato il reato di bancarotta patrimoniale ed il reato di bancarotta documentale, commesse in relazione a una società a responsabilità limitata.
I giudici della Corte hanno precisato che, la condotta distrattiva accertata incide sulle componenti attive del patrimonio sociale determinandone una modificazione effettiva, mentre la condotta di falsificazione delle scritture contabili non comporta di per sé alcuna alterazione effettiva o fittizia della situazione patrimoniale.
Quest’ultima, anzi, è posta in essere proprio per occultare la citata distrazione e dunque rende più difficoltosa, se non impossibile, la ricostruzione del patrimonio e delle attività della società da parte degli organi fallimentari.
Le due condotte non integrano lo stesso fatto storico, ma restano distinte e conseguenti, essendo finalizzata l’una a occultare l’altra. Per tale ragione, non si pone alcuna questione di ne bis in idem, né di concorso apparente, dovendo essere contestati i due differenti reati di bancarotta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta.
Per quanto riguarda, il ruolo dell’amministratore di fatto nel caso dell’avvenuto dissesto, la Corte richiama un orientamento consolidato che individua indici sintomatici per l’accertamento della responsabilità del soggetto:
- Il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attività di impresa;
- La diretta partecipazione alla gestione della vita societaria;
- La costante assenza dell’amministratore di diritto;
- La mancata conoscenza da parte dei dipendenti.
Continuazione fallimentare
Il problema della pluralità di reati in materia di bancarotta si accresce ulteriormente, perché c’è quella particolare circostanza aggravante. Nel senso che il legislatore prevede all’art. 219 della l. fall. che la realizzazione di più fatti di bancarotta all’interno dello stesso fallimento determina l’aumento di pena di 1/3.
Sembra quindi prevedere che gli ulteriori fatti di bancarotta, non siano considerati come autonomi reati, ma come circostanze aggravanti del primo reato di bancarotta. Quindi è come se fosse sempre lo stesso reato aggravato, la pluralità dei fatti, sostanzialmente, dà luogo – almeno quoad poenam – all’applicazione della disciplina dell’aggravante (cioè la pena è aumentata di 1/3). Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il legislatore in tale ipotesi ha previsto una particolare tipologia di reato continuato. I reati restano plurimi ma unificati dal punto di vista del trattamento sanzionatorio. Tale continuazione fallimentare presenta delle peculiarità rispetto alla disciplina dell’art. 81 c.p..
Una prima specialità riguarda la pena. Mentre nella disciplina generale, l’aumento è sino al triplo (la violazione per il reato più grave è aumentata sino al triplo), qui è la prima violazione aumentata di 1/3. Quindi un trattamento sanzionatorio ben più favorevole.
Poi c’è una seconda differenza: mentre la continuazione, secondo la disciplina generale, richiede la medesimezza del disegno criminoso, qui ciò che il legislatore richiede è semplicemente che questi fatti vengano realizzati all’interno dello stesso fallimento. Quindi l’elemento unificante è la procedura fallimentare: lo stesso fallimento, anche se non c’è identità del disegno criminoso, medesimezza del disegno criminoso.
Concordato
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 50489/2018, ha stabilito che nel caso di concordato preventivo si applicano le disposizioni dei precedenti art. 223 e 224, in tema di bancarotta impropria (fraudolenta e semplice), agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società.
I giudici della Corte, hanno stabilito che a seguito della riforma fallimentare, il presupposto di accesso alla procedura di concordato preventivo non è lo stato di insolvenza, ma la crisi dell’impresa.
Con la riforma, è venuta meno la conversione automatica del concordato preventivo in fallimento senza che, tuttavia, questo possa incidere sulla equiparazione tra gli effetti (penali) della dichiarazione di fallimento e del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
È stata parificato il decreto di ammissione al concordato preventivo con la sentenza dichiarativa di fallimento, assumendo le due pronunce la stessa funzione e svolgendo la stessa efficacia nelle fattispecie di bancarotta fraudolenta.
Cessione d’azienda
Nella sentenza n. 32049/2018, la Corte di Cassazione ha chiarito che, la mera cessione d’azienda, ancor più se solo in affitto, non può costituire di per sé un fatto distrattivo (anche se destinata ad assorbire l’intera capacità produttiva della società cedente).
Occorre dimostrare che:
- La cessione sia avvenuta a fronte di un corrispettivo economico inadeguato;
- Il corrispettivo pattuito non sia stato effettivamente versato;
- Il prezzo (fittizio) sia stato corrisposto attraverso una compensazione, totale o parziale, con debiti della società.
Quindi, qualora dalla cessione dell’azienda, alla società fallita è stato concretamente versato il giusto corrispettivo, la sentenza afferma testualmente che non può ritenersi che tale atto l’abbia depauperata, sostituendosi le somme di denaro ricevute al complesso di beni ceduto.
Tale impostazione non è univoca in giurisprudenza, è un principio che difficilmente può essere seguito in astratto, richiedendo un accertamento caso per caso.