Al giorno d’oggi i social network quali Facebook, Instagram, Tik Tok sono dei mezzi diventati ormai d’uso quotidiano, sui quali possiamo pubblicare tutto ciò che più ci piace, prendere parte a dibattiti e discussioni, dire la propria opinione perché il social ci rappresenta. 

Talvolta è così importante far sapere a tutto il nostro pubblico ciò che ci accada intorno che qualche distrazione di troppo può costarci cara soprattutto in ambito lavorativo

Nel settore della propria attività lavorativa si presenteranno aziende che adottano come politica aziendale quella di non far postare o parlare dell’azienda ai propri dipendenti o aziende che invece non esprimono pareri in merito, ma si riservano la possibilità, come ogni datore di lavoro, di poter agire qualora il dipendente faccia cattivo uso dei social a danni dell’immagine aziendale

Per questo motivo la giurisprudenza e le sentenze di questi ultimi anni della Corte di Cassazione, si mettono a fianco del datore di lavoro qualora quest’ultimo voglia innalzare strumenti volti a sospendere o talvolta far cessare il rapporto di lavoro con il dipendente stesso. 

Molte volte i dipendenti dimenticano che la libertà di espressione e il diritto di critica, costituzionalmente garantiti, potrebbero essere di contro all’esigenza di tutelare la reputazione e l’immagine dell’impresa in cui lavorano, a maggior ragione se dal profilo emerge la relativa posizione professionale. 

Tutto ciò che il lavoratore scrive sui social che in parte possa recar danno all’organizzazione aziendale, alla reputazione e al decoro può determinare un comportamento disciplinare rilevante, quando questa condotta è grave a tal punto da minare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e provocare un danno all’azienda stessa. 

Il dipendente anche in orari extra lavorativi deve tenere un comportamento tale da non ledere nè gli interessi morali nè quelli patrimoniali del suo datore di lavoro. 

Il caso di finta malattia di un lavoratore 

Un lavoratore chiede dei giorni di malattia, quando si presume che non si trovi nelle sue capacità fisiche e mentali ottimali per poter portare a termine la prestazione lavorativa che di consueto avrebbe fatto. 

Il lavoratore fa richiesta al suo medico curante di prescrivere un certificato medico, volto a verificare la veridicità dei fatti. 

Come spesso accade a volte si può incorrere in certificati medici molto generici, quali un mal di schiena, un mal di testa che devono presentare la veridicità dei fatti, ma d’altro canto un medico non può sempre prevedere che quel mal di testa o quel mal di schiena sia effettivamente tale da escludere la prestazione lavorativa.

Dovremmo comunque affidarci alla buona fede del soggetto, in questo caso il lavoratore mosso da principi di correttezza e buona fede, a seguito del rapporto lavorativo che sta alla base. 

Si pensi al caso di un lavoratore che fa arrivare al suo datore di lavoro un certificato medico attestante l’impossibilità di potersi recare nel posto di lavoro e svolgere la propria attività lavorativa, e successivamente scoperto in una città diversa a partecipare ad un concerto

Tutto questo scoperto tramite dei post pubblicati sul suo profilo Instagram. Che cosa può fare il datore di lavoro una volta scoperto il fattaccio? 

Chiaramente ci troviamo di fronte ad una condotta sbagliata del dipendente. 

Il comportamento sopra descritto configura una violazione degli obblighi derivanti dal suo rapporto di lavoro andando a violare i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del Cod. Civile

Ci sono elementi che se presi in considerazione potrebbero andare a evidenziare una simulazione di malattia: 

  • la distanza che intercorre tra il luogo dove si è recato il lavoratore in malattia e la residenza del lavoratore stesso 
  • la fissazione anticipata dell’evento al quale ha partecipato 
  • l’invito del medico a riguardarsi in ragione dello stato di salute 
  • il fatto per il quale lo svolgimento delle mansioni aziendali comportavano un impegno fisico meno persistente dell’organizzazione di una gita fuori porta. 

Come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione tali elementi potrebbero essere idonei a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali. 

L’attività svolta dal lavoratore può pregiudicare o ritardare la sua guarigione e conseguentemente il suo il rientro in servizio. 

In questo caso la foto pubblicata sui social in cui si racconta cosa si sta facendo può essere utilizzata dal datore di lavoro in tribunale e possono rischiare il licenziamento in tronco. 

Licenziamento

Il licenziamento per giusta causa può essere disposto dal datore di lavoro quando si susseguono comportamenti disciplinarmente rilevanti del lavoratore, gravi a tal punto da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. 

Secondo la dottrina, la giusta causa non è rappresentata esclusivamente da comportamenti costituenti notevoli inadempienze contrattuali, ma può essere determinata anche da comportamenti estranei alla sfera del contratto, come nel caso in essere, e diversi dall’inadempimento, purché idonei a riflettersi nell’ambiente di lavoro e a far venire meno la fiducia nel rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore stesso. 

Per tanto, un datore di lavoro ha la possibilità di far valere la sua tesi in Tribunale, a garanzia del licenziamento disciplinare intercorso, se il comportamento grave del lavoratore sia tale da ledere il rapporto di fiducia. 

Sarà comunque riserva dell’autorità giudiziaria, una volta esaminati i fatti, a determinare se ci sia l’illecito disciplinare oppure no. 

E’ chiaro quanto i social ad oggi siano strumenti utili anche all’interno del mondo del lavoro, un’ arma a doppio taglio per chi ne fa un uso eccessivo o non considerevole, perché ritenuti strumenti ai quali un datore di lavoro può far ricorso ai fini di dimostrare la veridicità dei fatti e di far valere le sue prove in giudizio. 

Parere della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione in un’ordinanza ritenne legittimo il licenziamento del lavoratore in malattia che aveva postato delle foto al mare nella sua bacheca Facebook. 

Il datore di lavoro ha utilizzato tali prove per dimostrare la mala fede del lavoratore, questo gli fu permesso in quanto la bacheca Facebook per quanto possa essere una forma privata all’interno di un Social, è comunque pubblico e il contenuto può arrivare a migliaia di utenti in rete, venendo meno la riservatezza e non andando a ledere alcuna privacy del lavoratore, il datore di lavoro ha potuto procedere al licenziamento per giusta causa di quest’ultimo.

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