Chi paga le tasse in Italia? L’Irpef pesa più sui lavoratori autonomi o sui dipendenti?

Per legge tutti devono pagare le imposte, indipendentemente dal lavoro svolto. In verità, la situazione in Italia sembra essere ben diversa.

L’ultimo report dell’Osservatorio Itinerari Previdenziali ha evidenziato che ben la metà degli italiani non dichiara redditi. Di conseguenza, la metà della popolazione non paga le tasse, al di là del lavoro svolto.

Dell’altra metà, solo il 12,9% ha un reddito superiore ai 35.000 euro e garantisce circa il 60% del gettito fiscale nelle casse dello Stato. La fascia tra 20 e 29 mila euro paga il 19,3% dell’Irpef totale mentre la restante parte è pagata dai redditi sotto i 20.000 euro all’anno. 

Con l’anno nuovo il Governo prevede di migliorare questa situazione ed intervenire la tendenza all’evasione abbassando le tasse per tutte le categorie di contribuenti con l’introduzione della flat tax e del quoziente familiare al posto dell’ISEE.

Vediamo, dunque, chi paga le tasse in Italia, quanto pesa il cuneo fiscale sui dipendenti e sugli autonomi e le agevolazioni fiscali previste dal Governo nel 2023.

Chi paga le tasse in Italia?

Nel periodo gennaio-settembre, il gettito dell’Irpef ha registrato un aumento di 5.551 milioni di euro (+3,8%) secondo i dati del MEF

L’Irpef è un’imposta diretta sulle persone fisiche pagata dai lavoratori dipendenti, dai pensionati e dai lavoratori autonomi oltre che dalle imprese. 

E’ la tassa che, volenti o meno, deve essere corrisposta da tutti contribuenti e che garantisce maggior gettito nelle casse dello Stato, pilone portante del welfare e dei servizi pubblici erogati.  Attualmente l’Irpef si basa su un regime di imposta progressivo per aiutare le famiglie che vivono in uno stato di maggior svantaggio economico. 

All’aumentare del reddito, aumenta anche l’aliquota Irpef, variabile dal 23% al 43%, e applicata sul reddito imponibile lordo dichiarato.In base al reddito viene, quindi, commisurata una certa percentuale da destinare allo Stato. 

Tenendo in considerazione le misure fiscali introdotte nel corso del tempo, volte ad avvantaggiare i lavoratori autonomi, si è registrato uno sbilanciamento tra le categorie di contribuenti che versano le tasse allo stato.

Le prossime riforme fiscali, attese il prossimo anno, non sembrano migliorare questa situazione.Vediamo meglio perché.

Differenze tra autonomi e lavoratori dipendenti nel pagamento dell’Irpef

Secondo un’indagine condotta da Repubblica, la percentuale di chi paga le tasse, in Italia, e in particolare l’Irpef è così distribuita:

  1.  55% dei lavoratori dipendenti;
  2.  30% dai pensionati;
  3.  12% dagli autonomi. 

Questo significa che la somma di imposte sul reddito lordo e i contributi che i lavoratori dipendenti pagano è maggiore di quella pagata dagli autonomi, per lo meno quelli rientranti nel regime forfettario.

Bisogna, tuttavia, ricordare che i lavoratori autonomi devono pagare anche i costi direttamente correlati alla loro attività, non strettamente legati all’Irpef.

Inoltre, il gettito dei lavoratori autonomi è calato di 6-7 punti, anche per la stangata inflitta dal Covid-19 alle attività del nostro Paese. Tante partite iva hanno dovuto chiudere nonostante, ancora oggi, l’Italia sia il paese con la quota maggiore di lavoratori autonomi del resto d’Europa.

Si potrebbe dire, quindi, che le tasse dello stato pesano di più sui lavoratori dipendenti ma soprattutto, su una minoranza di cittadini anziché sul totale.

Flat tax incrementale: cosa cambia per chi paga le tasse nel 2023

Nel 2023 la flat tax al 15% sarà estesa anche ai redditi tra i 65.000 a 85.000 euro. Questa riforma garantisce la possibilità a diversi lavoratori autonomi di pagare meno tasse.

Di conseguenza, secondo la Voce.info, dal prossimo anno, se la flat tax incrementale diventerà operativa saranno molti meno i cittadini a pagare questa imposta. 

Questa riforma, in apparenza, sembrerebbe accontentare tutti. In realtà, la flat tax porta con sé svantaggi non indifferenti.

Resterebbe, infatti, inalterato il divario tra chi percepisce un reddito da lavoro autonomo e uno da lavoro dipendente. Quest’ultimo a parità di guadagno, dovrà continuare a corrispondere più tasse allo Stato.

La disparità resterà tale fino a quando, con la riforma della flat tax prevista dalla Nuova Manovra, in un periodo successivo, ci sarà un taglio dell’aliquota Irpef per tutti i contribuenti.

Verrebbe quindi applicata l’aliquota fissa al 15% della flat tax a tutti i cittadini, senza distinzioni o limiti di reddito.

I lavoratori potrebbero avere un vantaggio nel breve periodo, maturando una retribuzione al netto di imposte e contributi maggiori ma perderanno nel tempo l’accesso ad alcune agevolazioni fiscali attualmente garantite e le tutele e i benefit stabiliti dai contratti collettivi nazionali.

Inoltre, le imprese potrebbero essere tentate di trasformare i contratti da lavoro dipendente in “finte partite Iva”. A parità di netto incassato, le imposte e contributi a carico delle imprese sarebbero dimezzati. 

Di conseguenza, i vantaggi maggiori derivanti dalla flat tax sarebbero a favore delle imprese più che dei lavoratori oppure dei redditi alti che continuerebbero a risentire meno della tassazione dovuta allo Stato.

Lotta all’evasione fiscale per chi non paga le tasse

Al di là del taglio al cuneo fiscale, il vero problema resta il mancato pagamento delle tasse da parte di un’ampia fetta della popolazione. Gli evasori aumentano la pressione fiscale su tutte le categorie di contribuenti, indipendentemente dalle misure fiscali adottate dal Governo.

Per questo motivo nel tempo sono aumentati i controlli da parte del fisco: le più moderne tecnologie informatiche sono utilizzate per individuare gli evasori tramite i dati digitali.

A tal fine, è stato introdotto l’obbligo di fatturazione elettronica dal 2024 che verrà esteso anche alle partite ive forfettarie che fatturano meno di 15.000 euro all’anno

La lotta all’evasione fiscale resta uno dei problemi da risolvere nel 2023, sulla quale la Nuova Legge di Bilancio concentrerà le sue forze economiche il prossimo anno.

Questo buon proposito sembra in contraddizione con la possibilità di prelevare più contanti, introdotta dalla medesima Manovra finanziaria: il limite di prelievo esteso verrà esteso a 5000 euro, a partire dal prossimo anno.

La riforma Irpef del quoziente familiare

Infine, nel 2023 dovremmo andare incontro ad una vera e propria riforma dell’Irpef con l’introduzione del quoziente familiare, un coefficiente basato sul reddito complessivo dei nuclei familiari e non sui singoli contribuenti.

Il quoziente familiare dovrebbe dunque sostituire l’Isee: chi beneficerà di più della riforma saranno le famiglie, in generale, e quelle più numerose, in particolare.

Le famiglie potrebbero pagare meno tasse nei prossimi anni (proporzionali all’aumentare del numero di figli o disabili a carico).

Invece, altri nuclei potrebbero restare tagliati fuori dall’accesso a bonus o servizi di welfare, precedentemente garantiti dagli scaglioni ISEE. 

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