Il ruolo di amministratori e sindaci è stato oggetto di revisione in molteplici occasioni. Da ultimo, si segnala l’intervento con il Codice della crisi di impresa.

La disciplina del diritto societario ha subito, negli ultimi venti anni, una tendenziale riscrittura ad opera del legislatore. Già a partire dalla riforma del 2003 molti aspetti, concernenti il ruolo di amministratori e sindaci, sono stati oggetto di rivisitazione. In particolare, si è inteso incidere sul regime della responsabilità degli stessi.

Un ruolo peculiare, inoltre, è stato attribuito agli organi di controllo nel c.d. Codice della Crisi di impresa, il quale è da poco entrato in vigore. In tal sede, si è inteso attribuire una specifica competenza a tali figure nella risoluzione della crisi di impresa, al fine di facilitarne la composizione e prevenire il ricorso all’autorità giudiziaria.

Nel febbraio del 2019, dunque, è stato pubblicato ufficialmente il D.lgs. n. 14 del 2019, il quale attuava la L. n.155 del 2017. Tramite predetto decreto, si è inteso procedere ad una revisione sistematica della disciplina concorsuale. Gli obiettivi perseguiti sono tre:

  • Riformare le procedure da applicare in caso di crisi di impresa, introducendo meccanismi di composizione negoziata;
  • Semplificare il complesso quadro normativo in materia societaria;
  • Garantire una maggior certezza del diritto, conseguentemente incentivare l’economia di mercato.

In particolare, il testo ha inteso garantire una maggior organicità alla disciplina normativa, che poneva dubbi interpretativi, dovuti ai molteplici interventi legislativi susseguitesi nel tempo.

Il testo del Codice della Crisi dell’impresa dedica particolare spazio alla disciplina della procedure concorsuali e dell’insolvenza. L’opera è finalizzata a riunire in unico corpo l’intera disciplina, indipendentemente dalla tipologia di debitore.

Il ruolo dei sindaci

Il codice civile disciplina espressamente il ruolo dei sindaci all’interno delle società. Invero, a seconda della tipologia di società, potrebbe essere obbligatoria la presenza di un collegio sindacale composto da 3 a 5 sindaci. Nel caso delle società in accomandita semplice o per azioni è una figura obbligatoria, mentre per quanto riguarda le società a responsabilità limitata è facoltativa, salvo che la società:

  • Non possa redigere il bilancio in forma abbreviata in quanto supera i limiti previsti dall’art. 2435 bis c.c.;
  • Sia obbligata a redigere il bilancio consolidato;
  • Controlli società obbligate alla revisione legale.

Inoltre, essi sono obbligatori anche ove per due esercizi consecutivi hanno superato i limiti:

  • Attivo patrimoniale: euro 4.000.000;
  • Ricavi: euro 4.000.000;
  • Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità.

Se per tre esercizi consecutivi non sono superati predetti limiti, viene meno l’obbligo di nomina dei sindaci.

I componenti del collegio sindacale sono nominati tra i soggetti in possesso di specifici requisiti. In primo luogo questi devono essere scelti tra:

  • Coloro che sono iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministero della Giustizia;
  • Tra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche.

Essi inoltre devono possedere alcuni requisiti quali:

  • Professionalità contabile, ossia devono avere le necessarie conoscenze in materia di gestione contabile e formazione del bilancio di esercizio;
  • Requisiti morali di professionalità, onorabilità e indipendenza.

Funzione e responsabilità dei sindaci

La funzione principale assolta dai sindaci è quella di controllare il rispetto delle norme di legge e dello statuto nell’amministrazione della società. Al fine di adempiere a predetta funzione sono dotati di specifici poteri e facoltà. Ad esempio, essi possono ricercare informazioni, facendo espressa richiesta anche agli amministratori. Inoltre, possono condurre ispezioni e controlli. Se necessario anche convocare l’assemblea su fatti di particolare rilievo, o laddove gli amministratori non vi provvedano direttamente.

L’attività di vigilanza deve essere svolta nel rispetto del criterio di diligenza professionale. Svolgono, inoltre, un controllo complessivo sul bilancio di esercizio e la relazione di gestione. Questa figura verifica anche che il bilancio sia correttamente redatto e predisposto ai sensi dell’art. 2423 c.c..

I sindaci del collegio sono responsabili della verità delle loro attestazioni. Essi sono tenuti anche a mantenere il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. Si ha quindi responsabilità per false attestazioni contenute:

  • Nella relazione del Collegio sindacale al bilancio di esercizio prevista dall’articolo 2429 c.c.;
  • Nei verbali di verifica redatti dallo stesso collegio;
  • Relazioni e dichiarazioni rese nell’esercizio della propria attività.

Nel caso in cui nell’esercizio delle proprie funzioni arrechino un danno alla società, essi rispondono in solido con gli amministratori, ove il danno sarebbe potuto essere evitato esercitando la diligenza richiesta dalla legge. Eventualmente, la società potrà anche esercitare un’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2407 c.c.

I sindaci e la crisi di impresa

Nell’ambito della crisi di impresa, il collegio sindacale assolve ad una funzione fondamentale. La disciplina della crisi di impresa è stata oggetto di riforma recente con il D.lgs. n. 14 del 2019. La normativa ha attribuito al Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti ed esperti contabili l’onere di individuare gli indici della crisi di impresa, rispetto alla quale sindaci e amministratori hanno un ruolo rilevante.

L’art. 13 co.2 afferma:

“Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili elabora indici specifici con riferimento alle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, alle PMI innovative di cui al decreto- legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero dello sviluppo economico”

Il comma primo richiamato dalla disposizione, poi, individua una serie di fattori da tenere in considerazione. In particolare la normativa richiama tra gli indicatori eventuali squilibri reddituali, patrimoniali o finanziari, oltre alle specifiche caratteristiche assunte dall’impresa e l’attività imprenditoriale sino a quel momento svolta. Uno degli indici sicuramente più significativi, individuato dalla disposizione, è la sostenibilità degli oneri assunti da parte dell’impresa.

Il ruolo dell’Organo di controllo

Come evidenziato già nel paragrafo precedente, nell’ambito della disciplina della crisi di impresa, l’organo di controllo, rappresentato dai sindaci o dal collegio sindacale, ha un ruolo di particolare rilievo. In specie, l’art. 15 del D.L. 118 del 2021, attuativo del D.Lgs 14 del 2019, ha previsto che l’organo in questione deve segnalare all’organo amministrativo l’esistenza dei presupposti della procedura di composizione negoziata della crisi di impresa. In particolare, laddove si tratti di una S.P.A., sarà il collegio sindacale ad adempiere a tale onere, in alternativa il consiglio di sorveglianza, nel sistema dualistico di amministrazione e controllo, o il comitato per il controllo e la gestione, se si adotta il sistema monistico.

Mentre nelle S.R.L., tale dovere è posto in capo al collegio sindacale o al sindaco unico. Infine, nelle società cooperative, essendo obbligatoria la nomina del collegio sindacale, sarà quest’ultimo ad adempiere a predetta incombenza. Tale procedura è definita di allerta interna, che si distingue dalla c.d. allerta esterna. Infatti, l’art. 14 del codice della crisi prevede che sia possibile per i creditori attivare l’allerta presso l’OCRI.

Modalità di segnalazione

La segnalazione dei sindaci, o dell’organo di controllo in generale, è effettuata mediante strumenti che ne garantiscano la prova dell’avvenuta ricezione. Tale segnalazione deve, in primo luogo, essere tempestiva. Il legislatore sul punto non ha offerto specifici dettagli sul concetto di tempestività. Dunque, secondo interpretazione avvallata in dottrina, si ritiene che essa debba avvenire appena l’organo abbia avuto conoscenza dell’esistenza delle condizioni per avviare la composizione negoziata. Tale atto deve essere:

  • Indirizzato al consiglio di amministrazione o all’amministratore unico;
  • Formulato per iscritto;
  • Trasmesso al consiglio di amministrazione o all’amministratore unico.

Essa inoltre, deve riportare le motivazioni della segnalazione. In specie, si ritiene che debba presentare adeguata argomentazione circa il percorso logico che l’organo a compiuto al fine di verificare le condizioni e le segnalazioni ricevute dai creditori. Nella segnalazione dovrà anche essere indicato un termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo di amministrazione debba avviare la procedura.

Durante, l’intero espletamento della procedura in questione, ai sensi dell’art. 9 co. 3, l’organo è tenuto a vigilare sull’attività compiuta. L’esperto, chiamato a svolgere la negoziazione, è tenuto ad informare anche l’organo di controllo laddove l’imprenditore intenda porre in essere un atto potenzialmente pregiudizievole per l’impresa e i creditori.

La proposta del CNDCEC: Estensione segnalazione a revisori

Il 30 settembre scorso è stata divulgata la comunicazione del CNDCEC diretta al Ministro della Giustizia. Con il presente comunicato Il presidente del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Elbano de Nuccio, ha proposto al Ministro di estendere gli obblighi di segnalazione della crisi d’impresa anche ai revisori legali.

Come evidenziato dal Consiglio Nazionale, infatti, vi è una chiara esigenza di riallineare i poteri dei revisori e dell’organo di controllo. Talora, invero, lo statuto societario può prevedere esclusivamente la figura del revisore, come accade spesso nell’ambito delle S.R.L.. Ciò conduce ad esiti talora paradossali, non potendo essere esercitata la funzione proattiva da alcun organo societario.

Si pregiudica, dunque, il sistema di segnalazione, non potendo essere individuato un soggetto a cui è devoluta tale funzione. Tale circostanza lede, invero, sia l’interesse dell’impresa che dei creditori.

Oltre a tale palese inefficienza, tale diversità di poteri incide su una corretta individuazione e delimitazione dei rispettivi ambiti di attività nel caso di eventuali giudizi di responsabilità.

Il ruolo degli amministratori

Gli amministratori e i sindaci svolgono un ruolo fondamentale all’interno delle società. Il principale compito degli amministratori è quello di gestire la società stessa, sia sotto il profilo direttivo, organizzativo, oltre che contabile. Essi quindi sono chiamati a porre in essere tutte le attività indispensabili a consentire l’attuazione dell’oggetto sociale. Dunque, essi sono l’organo che svolge l’attività di direzione e assume le scelte imprenditoriali. In particolare, è di competenza degli amministratori:

  • Eseguire la volontà dei soci come espressa in assemblea;
  • Procedere all’organizzazione, amministrazione e gestione contabile della società, in base alla natura, tipologia e dimensione della stessa;
  • Vgila sulla tenuta delle scritture contabili;
  • È dotato di rappresentanza esterna;
  • Può attender ad ogni altro atto, secondo quanto deliberato in assemblea straordinaria.

Ad essi, dunque, è preclusa solo la facoltà di compiere atti che comportino una modifica dell’oggetto sociale, competenza che spetta all’assemblea dei soci.

Amministratori e crisi di impresa

Il Codice della crisi di impresa ha riservato al debitore, cioè l’imprenditore stesso, un ruolo propulsivo della procedura di composizione negoziata della crisi. In particolare, l’art. 3 co. 1 ha previsto che il debitore debba adottare tempestivamente ogni misura utile al fine di arginare lo stato di crisi, anche predisponendo un apparato organizzativo ai sensi dell’art. 2086 c.c..

La norma dispone che:

“L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Tramite suddetta previsione, sono attribuiti agli amministratori poteri di indirizzo e di intervento. Questi dovranno provvedere, nel più breve tempo possibile, ad adoperarsi al fine di esternalizzare le condizioni precarie dell’impresa. Quindi, sin dal momento in cui siano percepibili i primi segnali sono chiamati ad intervenire, al fine di garantire la continuità aziendale.

Rapporto con la disciplina previgente

Tale onere, citato nel precedente paragrafo, tuttavia, si riteneva già desumibile dagli artt. 2381 e 2403 c.c. L’art. 2381 c.c. attribuiva già al consiglio di amministrazione l’onere, sulla base delle informazioni ricevute, di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della compagine sociale. Da predetta disposizione era desunta l’esigenza di predisporre l’adozione di un programma di valutazione del rischio di crisi di impresa.

Mentre attualmente, il codice della crisi di impresa, prevede espressamente l’onere di garantire un adeguato assetto organizzativo. Dunque, con il nuovo assetto realizzato dal codice della crisi di impresa, il legislatore ha inteso codificare i principi che erano già desumibili, in via mediata, da altre disposizioni del codice civile. Tuttavia, l’art. 2086 c.c., nella sua attuale formulazione, adempie ad una specifica finalità. Infatti, si consente, anche agli amministratori, nell’esercizio della predetta funzione di controllo dell’adeguatezza degli assetti, di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita della continuità aziendale. Questi sono, quindi, chiamati ad intervenire adottando uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi, tra cui la composizione negoziata.

A seguito dell’introduzione del codice, infatti, i commentatori hanno sostenuto vi sia stata una “funzionalizzazione dell’adeguatezza degli assetti alla tempestiva emersione della crisi”.

Responsabilità penale degli amministratori e sindaci

L’attuale orientamento, prevalente in giurisprudenza, riconosce ad amministratori e sindaci una serie di poteri di controllo e prevenzione dei reati. La presenza di tali facoltà, all’interno dell’attuale versione del codice civile, comporta una responsabilità penale degli stessi in caso di realizzazione di un reato anche ad opera di altri soggetti.

Tali figure, infatti, sarebbero responsabili per non aver impedito la realizzazione del reato, violando il loro dovere di prevenzione e controllo.

Tuttavia, tale impostazione non è apparsa chiara alla dottrina, alla luce dell’attuale formulazione delle norme del codice civile, così come sono state riscritte con la riforma del diritto societario del 2003.

In particolare, il legislatore è intervenuto eliminando l’onere di vigilanza generalizzato, introducendo, invece, un dovere di agire informato nel compimento di specifici atti di cui all’art. 2393 co 2 c.c.. Tra le altre modifiche intervenute, l’art. 2381 c.c., ha previsto un onere di agire secondo il criterio della diligenza professionale, che ha sostituito il criterio della diligenza comune. Similmente, la novella ha anche inciso sui poteri dei sindaci, introducendo equivalenti modifiche.

Gli amministratori

Come affermato nel paragrafo precedente, il legislatore è intervento sui poteri degli amministratori, in particolare, per gli amministratori senza delega. La normativa, attualmente in vigore, ha infatti inciso sulla funzione di sorveglianza. Da qui sono sorti i maggiori dubbi interpretativi circa la responsabilità di amministratori e sindaci.

In particolare, secondo un orientamento dottrinale, quella degli amministratori non delegati è apparsa ancor più circoscritta, in quanto è stato eliminato il potere di vigilanza generalizzato. Tale funzione appare ancor più ridimensionata se si considera che gli stessi assumono informazioni in seno al Consiglio di amministrazione, per il tramite degli amministratori delegati.

Anche l’obbligo di diligenza generica del mandatario è stato oggetto di modifica, oggi specifico e adeguato all’incarico espletato, quindi oggetto di personalizzazione.

I poteri impeditivi degli amministratori

L’attuale versione del codice civile prevede una serie di interessanti disposizioni, concernenti i poteri degli amministratori nel caso in cui siano realizzati fatti lesivi degli interessi sociali.

La riforma del 2003 ha interessato i poteri impeditivi. La vigente formulazione dell’art. 2391 c.c. prevede l’impugnazione delle delibere consiliari di fronte all’autorità competente, in caso di conflitto di interesse. Tale potere, in primo luogo, è subordinato a specifiche condizioni. Può, infatti, essere esercitato solo dall’amministratore assente o dissenziente, e laddove sussista il vizio di conflitto di interesse dell’amministratore, che ha reso voto determinate in sede di delibera stessa.

Da altro lato, il potere non consente di prevenire i reati che si esauriscono nella delibera stessa, apparendo, per fino, del tutto irrilevante con riferimento ai reati compiuti in sua assenza. Altrettanto inidoneo è apparso il potere di cui all’art. 2409 c.c., che prevede l’onere di denunzia al PM. Non vi è, dunque, un potere di ricorrere direttamente innanzi all’Autorità giudiziaria, ma è necessaria l’intermediazione di un soggetto terzo. Il potere è, poi, escluso con riferimento alle società quotate in borsa. Questo, inoltre, è esercitabile solo in caso di indizi di gravi irregolarità, quindi, sovente, è esperibile solo dopo la commissione del fatto illecito.

Alla luce di ciò, ad una dottrina ritiene che il dovere di agire informati e la diligenza qualificata non siano sufficienti a fondare un posizione di garanzia. La giurisprudenza ha accolto opposto indirizzo, individuando nell’onere di prevenire i danni cagionato dal fatto illecito altrui, previsto all’art. 2392 co 2 c.c., la norma di riferimento dell’obbligo giuridico di impedire l’evento degli amministratori senza delega.

Orientamento attualmente vigente

Tale orientamento citato nel precedente paragrafo non è, tuttavia, sostenuto dalla giurisprudenza recente della Cassazione. Infatti, sempre sulla scorta di predette norme si afferma la responsabilità degli amministratori non esecutivi.

Tuttavia, tale responsabilità potrebbe deve esser rimproverabile dal punto di vista soggettivo. Tale riproverablità soggettiva, invero, è stata messa in dubbio, soprattutto se si considera che i reati societari sono in prevalenza dolosi.

L’orientamento attualmente prevalente richiede che la condotta sia almeno sorretta da dolo eventuale. Il soggetto agisce accettando il rischio della possibile realizzazione dell’evento come “prezzo” della sua condotta. Quindi egli ha l’atteggiamento psicologico di chi, anche laddove vi fosse stata certezza, comunque avrebbe agito per perseguire il suo scopo principale.

I sindaci

Anche rispetto alla responsabilità dei sindaci sono sorti dei dubbi interpretativi relativi alle disposizioni attualmente vigenti. L’art. 2403 c.c. prevede la possibilità di attivare il controllo giudiziario. I sindaci, a differenza degli amministratori non delegati che sono tenuti a segnalare al PM, hanno quindi una legittimazione diretta.

Questo potere di controllo e di attivazione non è, tuttavia, un potere impeditivo, semmai può servire ad attenuare le conseguenze del reato, perché è qualcosa che si verifica dopo il reato, quando emergono queste gravi irregolarità.

C’è il rischio di individuare una responsabilità di pozione. Il discorso poi è in parte analogo a quello effettuato rispetto agli amministratori, ossia se tali poteri siano sufficienti o meno a determinare una responsabilità dei sindaci per omesso controllo e prevenzione del reato altrui.

Secondo l’orientamento prevalente, anche per i sindaci, è possibile individuare una responsabilità penale per omesso controllo, laddove però sia accertato l’elemento soggettivo del dolo, almeno nelle forme del dolo eventuale.


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