L’inflazione, tra le conseguenze, ha portato con sè la rivalutazione del TFR. Se da un lato questo farà felici i lavoratori dipendenti al tempo stesso rappresenta una stangata per le piccole e medie imprese.


L’Istat ha aggiornato il coefficiente di rivalutazione del TFR relativamente al mese di settembre 2023. Si tratta di un’operazione che permette di adeguare questo accantonamento sostanzialmente ai mutamenti che assume il costo della vita. E l’inflazione, da cui siamo ancora travolti, incide inevitabilmente su ciò. Per la determinazione del coefficiente di rivalutazione del TFR o delle anticipazioni, viene preso in considerazione infatti l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati diffuso ogni mese dall’ISTAT (in questo caso si fa riferimento a quello senza tabacchi lavorati). Si calcola poi la differenza in percentuale tra il mese di dicembre dell’anno precedente e il mese in cui si effettua la rivalutazione. Poi si calcola il 75% della differenza, a cui si aggiunge, mensilmente, un tasso fisso di 0,125 (che su base annua è di 1,5). La somma tra il 75% e il tasso fisso è il coefficiente di rivalutazione per il calcolo del Tfr.

Questa è quindi tutta la procedura che consente di ottenere la rivalutazione del Trattamento di Fine Rapporto. A farne le spese sono però inevitabilmente le imprese, e soprattutto le Pmi. Vediamo quindi di capire in che modo incide la rivalutazione del TFR nelle tasche dei lavoratori e su quelle delle piccole e medie imprese.

Rivalutazione TFR, aggiornato il coefficiente per settembre 2023

Il valore del coefficiente di rivalutazione per il mese di settembre 2023 è pari a 1,822970 %, facendo registrare un incremento dello 0,25 % rispetto al valore del mese di agosto 2023.

Si realizza un’attenuazione della crescita dell’andamento inflazionistico (l’incremento di agosto su luglio del coefficiente era stato pari allo 0,378 %) nel corso dell’anno 2023, oltre a consolidarsi un sensibile decremento rispetto al medesimo periodo dell’anno 2022, quando il coefficiente era pari al 6,280367 %.

Cosa comporta la rivalutazione del TFR per i dipendenti e per le imprese

Cosa comporta la rivalutazione del TFR? Partiamo dal presupposto che l’onere dell’accantonamento delle somme del trattamento di fine rapporto per aziende con almeno 50 dipendenti rimane a carico INPS, mentre al di sotto di tale soglia resta invece in capo all’azienda. Questo significa che, a seguito della rivalutazione, a risentirne sono le piccole e medie imprese che hanno meno di 50 dipendenti.

A queste ultime infatti potrebbe costare quest’anno mediamente 1.500 euro in più a dipendente, provocando un extracosto per queste realtà stimato all’incirca in almeno 6 miliardi di euro. Una vera e propria stangata quindi. Questi sono i calcoli effettuati dall’Ufficio studi della CGIA, il quale ha anche sottolineato che i dipendenti delle piccole imprese con meno di 50 addetti hanno la possibilità di trasferire il proprio TFR in un fondo di previdenza complementare, oppure di lasciarlo in azienda. E solitamente una buona parte dei dipendenti che lavora in queste realtà minori opta da sempre per la seconda ipotesi. Ecco perchè l’onere si fa quindi più gravoso per le Pmi.

Nell’elaborazione si è tenuto in considerazione che quanto accantonato per ciascun dipendente è legato all’anzianità di servizio e che a dicembre del 2022 l’inflazione è aumentata dell’11 per cento rispetto allo stesso mese del 2021.

Sempre secondo la CGIA, a essere maggiormente penalizzate dalla rivalutazione delle liquidazioni sono le piccole imprese del Sud, dove è più elevata la presenza di imprese con meno di 50 addetti.

La simulazione

Volendo fare una simulazione la rivalutazione del TFR di un lavoratore che lavora da 5 anni presso la stessa azienda con meno di 50 dipendenti genera nel bilancio 2023 un incremento dei costi pari a 593 euro. Con anzianità lavorativa di 10 anni l’aggravio si calcola sui 1.375 euro.

La somma da destinare alla rivalutazione delle quote di accantonamento del TFR sale fino a 2.003 euro se gli anni di servizio sono 15, che diventa 2.594 euro per dipendenti in azienda da 20 anni.

Mantenere il TFR in azienda è un vantaggio per gli imprenditori?

Alla luce della rivalutazione quanto è conveniente per gli imprenditori che i dipendenti mantengano il TFR in azienda? Il trattamento di fine rapporto è una forma di salario differito. Se quindi il dipendente decide di lasciarlo in azienda, le conseguenze finanziare possono essere anche negative, così come è successo quest’anno.

Tuttavia, è comunque auspicabile per l’impresa che il dipendente mantenga questa decisione. Infatti, per fronteggiare la mancanza di liquidità che da sempre contraddistingue la quotidianità di queste realtà avere a disposizione delle risorse aggiuntive, sebbene non siano proprie, è importante. Soldi che, comunque, l’imprenditore ha in prestito e deve almeno in parte corrispondere al proprio dipendente quando quest’ultimo durante il periodo lavorativo lo richiede o interamente al termine del rapporto di lavoro.

Conclusioni

La rivalutazione del TFR è un’operazione che viene effettuata periodicamente per adeguare gli importi all’inflazione. Se questo intervento però giova ai lavoratori su alcune imprese gli effetti sono invece negativi.

La stangata, in particolare, colpisce le piccole e medie imprese con meno di 50 dipendenti, le quali subiranno costi aggiuntivi di circa 6 miliardi all’anno.

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