HomeNewsTelelavoro transfrontaliero: nuove regole per i contributi

Telelavoro transfrontaliero: nuove regole per i contributi

A partire dal 2024 il lavoratore frontaliero italiano che svolge oltre il 50% dell'attività in Italia deve versare (tramite il datore di lavoro non residente) i contributi previdenziali in Italia.

Accordo su telelavoro transfrontaliero UE, SEE e Svizzera. Dal 1° gennaio 2024 se l’attività da remoto svolta nel Paese di residenza è superiore al 50% dell’orario di lavoro totale si può chiedere di versare i contributi nel Paese di residenza.

Il 28 dicembre 2023 l’Italia ha aderito al nuovo accordo multilaterale europeo in materia di frontalieri e telelavoro valido per il solo piano delle assicurazioni sociali. Il nostro Paese si è dunque aggiunto alla lista dei Paesi europei che hanno firmato l’accordo quadro, formalizzato in base all’articolo 16, par. 1 del regolamento UE n. 883/2004 in materia di sicurezza sociale, che deroga ai criteri ordinari di determinazione della legislazione applicabile, in materia di contributi previdenziali, nel caso di lavoratori dipendenti che prestano in modalità agile una parte dell’attività svolta in due o più Stati membri (nonché in Svizzera, e nei Paesi dello Spazio economico europeo).

Le restrizioni alla mobilità introdotte durante la pandemia hanno accresciuto enormemente la diffusione del remote working e tale modalità lavorativa è divenuta strutturale in molte realtà lavorative dopo il periodo emergenziale, tanto da richiedere un’apposita normazione, soprattutto quando si tratta di lavoratori frontalieri. L’accordo quadro prende quindi in considerazione il caso del dipendente che, per una parte del tempo, lavora da remoto nello Stato di residenza, diverso da quello in cui ha la sede il datore di lavoro.

Vediamo di seguito i dettagli.

Cos’è il telelavoro transfrontaliero?

L’art. 1, lett. c) del regolamento UE n. 883/2004 con il termine telelavoro transfrontaliero fa riferimento ad una attività lavorativa che può essere svolta da un qualsiasi luogo e può essere eseguita presso i locali o la sede del datore di lavoro, che presenta alcune caratteristiche particolari:

  • L’attività lavorativa viene svolta in uno o più Stati membri diversi da quello in cui sono situati i locali o la sede del datore di lavoro;
  • L’attività si basa su tecnologie informatiche che permettono di rimanere connessi con l’ambiente di lavoro del datore di lavoro o dell’azienda e con le parti interessate o i clienti, al fine di svolgere i compiti assegnati dal datore di lavoro, nel caso dei lavoratori dipendenti, o dai clienti, nel caso dei lavoratori autonomi.

La disciplina del telelavoro transfrontaliero non trova applicazione nei seguenti casi:

  • Esercizio abituale di un’attività diversa dal telelavoro transfrontaliero nello Stato di residenza;
  • Esercizio abituale di un’attività in un altro Stato diverso da quelli menzionati al par. 1 dell’art. 2 dell’Accordo (Stato di residenza del lavoratore e Stato in cui ha la sede legale o il domicilio l’impresa);
  • Lavoro autonomo.

Gli impatti del telelavoro sui lavoratori frontalieri

L’inquadramento giuridico del telelavoro effettuato dai frontalieri è un tema molto articolato in quanto genera due livelli di impatto, uno previdenziale (ovvero che riguarda i contributi pensionistici) e uno fiscale (ovvero che riguarda la tassazione del reddito da lavoro).

Quanto agli impatti previdenziali a luglio del 2023 l’Unione Europea ha offerto a tutti gli Stati legati alla libera circolazione delle persone, la possibilità di aderire ad un “accordo multilaterale” in materia di telelavoro. La Svizzera vi ha fin da subito aderito, l’Italia lo ha fatto, come abbiamo detto, alla fine di dicembre del 2023. In base a questa intesa, una persona residente in Italia che sottoscrive un contratto di lavoro in Svizzera, dal 1° gennaio 2024 ha la possibilità di lavorare da casa al massimo per il 49,99% del tempo di lavoro previsto dal contratto stesso, senza avere modifiche nel proprio inquadramento pensionistico e assicurativo. In caso di superamento di questa soglia, l’autorità previdenziale italiana (cioè l’INPS) acquisirà la facoltà di richiedere all’azienda svizzera l’incasso del relativo contributo in Italia, il che implicherebbe molta burocrazia oltre a maggiori oneri finanziari. Questa percentuale si applica a tutti i frontalieri.

Aspetti fiscali

In merito invece agli impatti fiscali il telelavoro, se esercitato oltre certe soglie, può però poi comportare delle modifiche sulle modalità tributarie di tassazione del reddito da lavoro del frontaliere. Se consideriamo ad esempio l’Accordo amichevole firmato tra Italia e Svizzera il 28 novembre 2023, i frontalieri dei Comuni di confine (sia i “vecchi”, sia i “nuovi”), dal 1° gennaio 2024 hanno la possibilità di lavorare da casa per il 25% del tempo di lavoro senza avere modifiche nel proprio inquadramento fiscale. Se invece eccederanno questa soglia essi avranno delle importanti conseguenze sul livello di tasse che dovranno pagare. La stessa cosa accade anche ai frontalieri che non vivono nei Comuni di confine in virtù della Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni.

I dettagli dell’accordo quadro sul telelavoro e le implicazioni contributive

Affinché sia applicabile l’accordo, è necessario che il remote working sia svolto attraverso un’infrastruttura tecnologica funzionale a mantenere un collegamento con l’ambiente lavorativo e allo svolgimento delle attività assegnate. Come chiarito nella guida esplicativa, la principale caratteristica del teleworking è che può essere svolto in qualsiasi luogo.

Nella fattispecie sopra evidenziata, gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 13 del regolamento UE n. 883/2004 porterebbero ad applicare la legge dello Stato in cui risiede il dipendente qualora questi eserciti almeno il 25% della propria attività in tale Paese. Con l’accordo quadro, invece, è previsto che qualora l’attività da remoto svolta nel Paese di residenza non ecceda il 50% del complessivo orario di lavoro, è possibile applicare la legge in materia di sicurezza sociale del Paese in cui ha la sede il datore di lavoro. Le nuove regole si applicano solo se i due Paesi hanno sottoscritto l’accordo (che allo stato attuale sono 20).

L’attivazione di tale deroga deve avvenire in base all’articolo 16 del regolamento e la richiesta deve essere indirizzata all’istituzione dello Stato di cui si vuole applicare la legislazione (cioè il Paese in cui ha sede il datore). Lo scambio di informazioni riguardanti il caso del singolo lavoratore avverrà attraverso il sistema Eessi (electronic exchange of social security information) e la procedura prevede che l’autorizzazione dello Stato di residenza si consideri pre-approvata consentendo all’istituzione dell’altro Stato (in cui è stabilito il datore) di rilasciare l’attestazione mediante il modello A1.

La richiesta può essere accordata per un periodo massimo di tre anni, con estensioni possibili previa nuova domanda.

Conclusioni

In definitiva l’Accordo multilaterale europeo in materia di frontalieri e telelavoro consente di elevare la soglia percentuale dal 25% al 50% del tempo di lavoro complessivo svolto dal lavoratore nel paese di residenza allo scopo di autorizzare il versamento dei contributi previdenziali in vigore nel paese in cui ha sede l’impresa e rendendo quindi meno frequente il passaggio alla competenza della legislazione di sicurezza sociale del paese di residenza.

L’adesione dell’Italia, avvenuta lo scorso 28 dicembre 2023, porterà effetti potenzialmente positivi sia per i lavoratori, con riguardo soprattutto a quelli frontalieri, sia per le imprese coinvolte.

Lascia una Risposta