Tra le misure che impattano sul sistema previdenziale, contenute nella manovra di Bilancio, vi è anche la possibilità di ottenere un interessante beneficio se si sceglie di non aderire alla Quota 103, rinunciando così alla pensione con la finestra in corso di apertura preferendo il mantenimento del proprio posto in azienda.

Ma di cosa si tratta? Chi ci guadagna realmente?

Bonus per chi rimane a lavoro, come funziona l’incentivo

Stando a quanto previsto, il lavoratore che decide di rimanere al lavoro rinunciando alla finestra utile per andare in pensione può essere premiato con un interessante incentivo: in busta paga vedrà infatti comparire un importo pari ai contributi previdenziali che il datore di lavoro versa all’INPS, e sia nella quota a carico del lavoratore (9,19%) sia nella quota a carico dell’impresa (23,8%).

Così facendo, il bonus che il datore di lavoro finirà con il conferire in busta paga al dipendente non è pari al 10%, come era emerso in un primo momento, bensì al 33%, quale sommatoria dei contributi a carico delle due parti.

Le simulazioni: quanto si guadagna

Ma quanto si guadagna, allora, nel rimanere sul luogo di lavoro? A compiere delle simulazioni è stato il quotidiano La Repubblica, secondo cui i dipendenti che hanno i redditi più bassi potrebbero essere beneficiati con un importo di circa 225 euro al mese, che salgono a circa 700 euro al mese nel caso in cui il reddito del lavoratore dipendente sia pari a 50 mila euro lordi annui.

Chi potrà ricevere il Bonus

Fin qui, le buone notizie per i lavoratori che cercheranno di rimanere alle dipendenze della propria azienda al fine di sfruttare l’incentivo. Ma chi potrà effettivamente beneficiarne?

I più critici sembrano sottolineare come, in realtà, il bonus ricada sulle spalle di poche persone. All’art. 54 della manovra, infatti, viene riportato come il benefit possa essere attribuito ai soli lavoratori che hanno i requisiti per andare in pensione con la quota 103 (cioè, 62 anni di età anagrafica e 41 anni di contributi nel 2023), i quali potranno rinunciare all’accredito dei contributi presso INPS.

Costoro, se esercitano l’opzione, potranno dunque veder cessato ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro. Ne consegue che la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all’ente previdenziale viene corrisposta interamente al lavoratore, nella misura che sopra abbiamo individuato.

Ancora incertezza sulle modalità di attribuzione del bonus

Insomma, il beneficio potrà riguardare solo poche decine di migliaia di lavoratori in tutta Italia e, peraltro, con modalità ancora in parte da chiarire.

La lettura del tenore della norma non chiarisce infatti, effettivamente, quanta parte del beneficio possa essere monetizzato nella busta paga del lavoratore. Pertanto, considerato che il governo aveva parlato di bonus di circa il 10%, è ancora aperta l’ipotesi che il 23% di differenza sia in realtà un beneficio in favore dell’azienda, che potrà così veder tagliato il proprio costo del lavoro.

Attenzione al nodo contributi

Come se non fossero sufficienti le perplessità di cui sopra, vi è anche un altro punto che dovrebbe consigliare maggiore cautela.

Se infatti il lavoratore che raggiunge i requisiti per quota 103 e sceglie di rimanere al lavoro potrà vedersi riconosciuto il bonus (del 10% o del 33% è ancora da chiarire), è anche vero che la sua pensione viene sostanzialmente congelata nel momento in cui non approfitta della finestra utile per quota 103, senza maturazione di altri contenuti.

In altre parole, l’assegno pensionistico che verrà percepito in futuro sarà rivalutato automaticamente all’inflazione che matura in quello che l’art. 52 della manovra definisce essere il periodo di posticipo del pensionamento. Pertanto, il lavoratore che sceglie di rinunciare alla Quota 103 per rimanere alle dipendenze dell’azienda avrà sì un bonus in busta paga, ma rischia di avere un assegno previdenziale un po’ più magro, aprendo così diversi scenari valutativi che non potranno che essere considerati caso per caso.

Insomma, alla fine a guadarci dovrebbero essere le casse statali, considerato che ricorrendo a questo sistema di bonus per i dipendenti evita di pagare la pensione la lavoratore per 1 anno e 10 mesi (a tanto ammonta il gap temporale che il lavoratore dovrà sopportare per non aver usufruito della finestra della quota 103) e, quando dovrà pagare la pensione, probabilmente erogherà un assegno più basso.

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