Fa discutere la recente proposta dell’Inps di adeguare gli assegni delle pensioni sulla base dell’aspettativa di vita. Luogo di residenza e lavoro svolto sarebbero i parametri presi in considerazione.


Tra le riforme che il governo Meloni aveva in agenda c’era anche quella rivolta alle pensioni. Tante le proposte trapelate, soprattutto con riguardo alle possibili uscite anticipate dal mondo del lavoro. Due tavoli di lavoro per calendarizzare una bozza di una legge strutturale erano stati fissati per i primi giorni di settembre. Gli incontri hanno però portato ad un nulla di fatto e tutto è fermo per ora.

Restano quindi le vecchie proposte, oltre a una nuova trapelata dall’Inps: modulare gli assegni pensionistici sulla base dell’aspettativa di vita. L’iniziativa, oltre ad aver fatto il giro dei media negli ultimi giorni, ha fatto anche discutere. E nel mentre l’istituto previdenziale, con un comunicato, ha voluto in un qualche modo ribattere alle ricostruzioni giornalistiche precisando di non aver mai partecipato alle trattative sulla riforma delle pensioni.

Riforma pensioni, il dossier Inps

La proposta dell’Inps sulla rimodulazione delle pensioni partirebbe da uno studio che si fonderebbe sulla durata media della vita in Italia. Gli assegni verrebbero quindi calcolati in maniera diversa a seconda delle categorie di soggetti e di parametri che permetterebbero di tradurre l’aspettativa della vita ai fini dell’erogazione delle pensioni.

Alla base ci sarebbe la necessità di innescare un meccanismo che sopperisca all’insufficienza di fondi economici che non permetterebbe l’attivazione di misure diverse.

Lo studio in questione riporta la possibilità di percepire una pensione inferiore in base alla propria longevità. Dunque: più a lungo si vive, più basso sarà l’assegno pensionistico da dover ricevere.

I parametri della perequazione

I parametri che l’Inps prenderebbe in considerazione nel suo dossier sono principalmente il lavoro svolto e il luogo di residenza. Questi dati permetterebbero di fare una statistica sulla speranza di vita. L’Istituto previdenziale denuncia in particolare un’ingiustizia all’interno del circuito pensionistico: secondo lo stesso infatti gli assegni dovrebbero essere stabiliti considerando che i soggetti meno abbienti hanno una speranza di vita più breve e ciò sarebbe meno equo e avvantaggerebbe solo i più ricchi.

Nella riforma delle pensioni prospettata dovrebbe quindi entrare in gioco il coefficiente di trasformazione, ovvero il valore che concorre al calcolo della pensione con metodo contributivo, che attualmente è uguale per tutti. Questo coefficiente andrebbe rivisto, dal momento che ad oggi non viene tenuto conto della professione svolta, del suo logorio, dell’efficienza sanitaria della Regione in cui si vive oltre e delle predisposizioni genetiche che sono differenti per tutti.

Invece secondo l’Inps il lavoro svolto incide sull’aspettativa di vita e andrebbe tenuto conto di questo dato. Secondo i dati ad esempio un pensionato iscritto al fondo dei lavoratori dipendenti, che comprende operai e impiegati, ha una previsione media di ricevere una pensione per 17,6 anni, mentre un pensionato ex dirigente iscritto alla gestione Inpdai avrà una previsione media di percepire la pensione per 19,7 anni.

Ad influenzare la vita pensionistica c’è poi il luogo di residenza. E anche in questo caso l’Inps fa qualche esempio. Gli uomini che vivono nelle Marche e in Umbria hanno una speranza di vita di altri 18,3 anni dopo la pensione raggiunta a 67 anni, mentre le donne più longeve sono in Trentino-Alto Adige , con una speranza di vita media dopo il pensionamento di 21,6 anni. Per gli uomini e le donne che vivono in Campania e in Sicilia, invece, la speranza di vita dopo la pensione scende rispettivamente a 17 e 17,1 anni.

Anche sanità e reddito possono incidere sugli assegni delle pensioni

Tra gli ulteriori indici presi a riferimento dall’Inps nel citato studio ci sarebbero anche la sanità e la situazione reddituale dei cittadini.

Pensando al periodo del Covid si è assistito ad un aumento della mortalità e quindi ad una riduzione della speranza di vita. Questo ha contribuito ad innalzare l’assegno pensionistico di chi ne usufruirà dal 2023.

Quanto poi al reddito si riscontrano incidenze più marcate. Secondo i dati a disposizione, un pensionato che si trova nella parte più bassa delle fasce di reddito riceverà in media la pensione per 16 anni, mentre un ex pilota che si trova nella fascia di reddito più alta, la riceverà in media per 20,9 anni. Il primo ha un’aspettativa di vita media inferiore di quasi 5 anni.

Quanto è attuabile la proposta dell’Inps

Alla luce di questo studio si possono tirare alcune considerazioni. Una riforma di questo tipo non sarebbe forse attuabile in concreto perchè l’aspettativa di vita non può essere misurata coi soli parametri utilizzati dall’Inps, che comunque non danno previsione certe.

Nell’aspettativa di vita, come spiegano i demografi, entrano in gioco decine di altre variabili, dal grado di istruzione alla genetica, che sono difficilmente ponderabili per creare un’aspettativa di vita categoria per categoria. Ecco che quindi misurare le pensioni sulle statistiche dell’Istituto previdenziale non permetterebbe di distribuire gli assegni in maniera davvero equa e proporzionale.

Se questa era quindi una proposta volta a far quadrare le casse statali almeno entro il 2035, anno in cui il numero dei pensionati supererà quella dei lavoratori, non sarà attuabile.

Il comunicato Inps

Dopo la bufera scatenatasi a seguito dell’esposto dossier l’Inps è intervenuta con un comunicato datato 21 settembre 2023, esprimendosi sulle ricostruzioni giornalistiche circolate in materia di pensioni. Nello specifico l’istituto nega un coinvolgimento diretto in proposte di riforma delle pensioni:

“L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale intende fornire alcune precisazioni in merito alle recenti ricostruzioni riguardanti un presunto coinvolgimento diretto dell’Istituto in proposte di riforma delle pensioni.
Quanto riportato sulla partecipazione attiva dell’INPS attraverso la formulazione di una proposta di riforma delle pensioni è privo di fondamento.”

Pensioni, l’ipotesi più papabile

L’unica proposta indiretta per la riforma pensioni, resta quella di Pasquale Tridico che ha articolato l’ipotesti di rendere strutturale una pensione a due velocità, che potesse da un lato anticipare la pensione con un assegno ridotto e poi corrispondere un assegno pieno una volta raggiunti i 67 anni previsti dalla legge Fornero che, Giorgia Meloni, intende ancora superare.

In ogni caso, come spiegano fonti del governo, si tratta di uno studio e non di un’ipotesi concreta alla quale mettere mano nell’immediato, perché richiederebbe anni e anni di messa a punto dell’operazione che non si può certo realizzare nei due mesi della manovra.

Conclusioni

In definitiva la proposta dell’Inps mira a rivalutare gli assegni delle pensioni considerando l’aspettativa di vita, che a sua volta si fonderebbe su una serie di parametri ‘discutibili’. Non è pensabile infatti prevedere la vita di ciascun cittadino e parametrare gli importi su qualcosa di aleatorio.

L’Inps ha voluto comunque con un comunicato dissociarsi in un qualche modo dalle voci trapelate. E nel frattempo la riforma sulle pensioni resta in una situazione di stallo.

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