Trust: la disciplina fiscale

I profili di imposizione diretta del trust, distinguendo a seconda delle diverse casistiche possibili: in base alla residenza fiscale, ai redditi prodotti, al patrimonio segregato e alle finalità a fronte delle quali è stato costituito il patrimonio stesso.

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Il trust (la cui traduzione è “affidamento”) è un istituto giuridico di grande duttilità, riconosciuto in Italia solamente di recente. Si tratta di un istituto tipico degli ordinamenti di c.d. common law.

La sua diffusione è affidata alla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985. Trattato multilaterale con il quale gli Stati firmatari hanno stabilito disposizioni comuni relative alla legge applicabile ai trust, risolvendo così i problemi più importanti relativi al loro riconoscimento.

L’Italia ha reso esecutiva la Convenzione con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, impegnandosi così a riconoscere gli effetti giuridici dei trust. Effetti regolati necessariamente da una legge estera, nella misura in cui rispettosi dei vincoli del Trattato.

Il trust, quindi, è un istituto che a ben determinate condizioni può comportare vantaggi in materia impositiva a favore del contribuente. Alleggerendone, o quanto meno, diluendo nel tempo il peso dell’imposizione. Dopo aver analizzato in un precedente contributo, la struttura del trust, le sue caratteristiche e le sue finalità, di seguito analizziamo gli aspetti legati alla fiscalità diretta di questo istituto.

Fiscalità diretta del trust in Italia

Ai fini delle imposte sui redditi, si possono distinguere due tipologie di trust (Circolare n. 48/E/2007):

  • Trust opachi: si tratta dei trust sena beneficiari di reddito individuati. I redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo;
  • Trust trasparenti: si tratta dei trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari.

Trust opachi

I trust opachi residenti o non residenti sono inclusi tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES). In questo modo è stata attribuita al trust una autonoma soggettività tributaria. In particolare, sono soggetti all’imposta sul reddito delle società i trust opachi:

  • Residenti nel territorio dello Stato che hanno oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. Questi determinano il reddito secondo le regole previste per i soggetti IRES residenti;
  • Residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. Questi determinano il reddito secondo le regole previste dagli enti non commerciali residenti. Il reddito imponibile complessivo è, pertanto, formato dai redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva;
  • Non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato. In caso di trust estero opaco, costituto in Stato a fiscalità privilegiata (ex art. 47-bis del TUIR) le attribuzioni di reddito da parte del trust sono assoggettate ad imposizione in capo al beneficiario residente ai sensi della lettera g-sexies) del comma 1 dell’art. 44 del TUIR (Circolare n. 61/E/2010). In tal caso, alla tassazione ridotta in capo al trust estero corrisponde, comunque, imposizione in capo al beneficiario residente per le attribuzioni di reddito da parte del trust.

Trust opachi esteri

Le attribuzioni a favore dei beneficiari italiani da parte di trust opachi esteri sono assoggettabili ad imposizione in Italia sulla base del criterio di cassa che regola, in genere, la tassazione dei redditi di capitale, a differenza delle attribuzioni di trust trasparenti per le quali vale il criterio di imputazione. Il meccanismo di imputazione per trasparenza, infatti, sarebbe in contrasto con le modalità di attribuzione del reddito dei trust opachi, nei quali i beneficiari sono privi del diritto di ottenere erogazioni di redditi prodotti dal trust.

Trust trasparente

In caso di trust trasparente (residente o non residente) questi non è considerato come un autonomo soggetto di imposta, ma come un’entità trasparente. Il reddito ovunque conseguito dal trust trasparente viene assoggettato a tassazione per trasparenza (ex art. 73, co. 2, ultimo periodo TUIR) in capo al beneficiario (residente) come reddito di capitale (lett. g-sexies) del co. 1 dell’art. 44 del TUIR). In questo caso di applicano le aliquote progressive dell’IRPEF in caso di beneficiario persona fisica in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali (co. 2, art. 73 TUIR). Viene seguito, quindi, un criterio di imputazione per competenza in trasparenza del reddito ai beneficiari individuati.

Quest’ultimo è il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva effettiva (Circolare n. 48/E/2007). Il beneficiario deve essere individuato e deve essere titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione della quota di reddito spettante.

Ove il reddito abbia già scontato una tassazione a titolo di imposta o di imposta sostitutiva in capo al trust che lo ha realizzato, il reddito non concorre alla formazione della base imponibile, né in capo al trust opaco né, in caso di imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiari del trust trasparente. Pertanto, la percezione di tali redditi da parte degli stessi rimane una mera movimentazione finanziaria, ininfluente ai fini della determinazione del reddito.

Proventi imputati ai beneficiari: redditi di capitale

Il trust misto

È possibile, tuttavia, che un trust sia al contempo opaco e trasparente (trust misto). Questa particolare fattispecie si verifica nel caso in cui l’atto istitutivo preveda che una parte del reddito di un trust venga accantonata a capitale e l’altra parte sia attribuita ai beneficiari (c.d. “trust di accumulo”). In questo caso ai fini reddituali:

  • Il reddito accantonato deve essere tassato in capo al trust, ai fini IRES;
  • Il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, deve tassato in capo ai beneficiari.

Il trust misto è quello in cui “il reddito del trust, assolto ogni costo relativo, deve essere dai trustee mantenuto nel trust e utilizzato secondo gli specifici scopi da questo previsti. Tuttavia, non potrà essere erogato più del 75 % del reddito prodotto”. In conformità a tale qualificazione il reddito accantonato deve essere tassato in capo al trust. Mentre, al contrario, il reddito attribuito al disponente beneficiario è tassabile in capo a quest’ultimo per trasparenza e, dopo la sua morte, agli eredi.

Pertanto dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee deve indicare la parte di esso attribuita al trust. Su questa parte di reddito che va ad accrescere il capitale del trust, deve essere assolta l’IRES, mentre sulla parte imputata per trasparenza ai beneficiari su cui questi ultimi devono assolvere le imposte sul reddito.

Come si determina la residenza fiscale del trust?

La fiscalità diretta del trust passa attraverso i criteri di individuazione della residenza fiscale. In particolare, si applicano le regole contenute nei commi da 3 a 5 dell’art. 73 del TUIR, ovvero:

  • Si considerano residenti in Italia gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale, o la sede dell’amministrazione, o lo svolgimento delle attività di gestione quotidiana, in via principale, in Italia (co. 3);
  • L’oggetto esclusivo o principale è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata (co. 4);
  • In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato (co. 5).

Il legislatore ha previsto due presunzioni di residenza in Italia per i trusts esteri istituiti in Stati non appartenenti alla “white list”, che operano ove:

  • Almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti in Italia;
  • Successivamente alla costituzione, un soggetto residente in Italia effettui in favore del trust un’attribuzione di beni immobili, diritti reali immobiliari o l’imposizione di vincoli di destinazione su tali beni.

La norma sembra ricalcare quanto previsto dal successivo comma 5-bis dell’articolo 73, del TUIR, che disciplina la fattispecie di esterovestizione delle società. Secondo questa disciplina sono considerati fiscalmente residenti in Italia le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società italiane se, a loro volta, controllate – anche indirettamente – da soggetti residenti in Italia o amministrate, quanto meno in prevalenza, da soggetti italiani. Non è necessario che la residenza italiana del disponente e del beneficiario sussistano nel medesimo periodo d’imposta.

Come individuare i trust che godono di regime fiscale privilegiato?

Per individuare trust opachi esteri che godono di un regime fiscale privilegiato si deve fare riferimento alla lettera b) del comma 1 dell’art. 47-bis del TUIR che ravvisa tale regime ove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia. Pertanto, il reddito di un trust opaco corrisposto ad un soggetto italiano è sempre considerato imponibile in Italia ai sensi della lettera g-sexies) del comma 1 dell’articolo 44 del TUIR qualora il livello nominale di tassazione dei redditi prodotti dal trust è inferiore al 50 di quello applicabile in Italia. In tali casi si deve tener conto anche di eventuali regimi speciali applicabili al trust.

A tal fine occorre confrontare il livello nominale di tassazione dei redditi prodotti dal trust nell’ordinamento fiscale nel quale il trust è stabilito con l’aliquota IRES vigente nel periodo d’imposta in cui i redditi di capitale sono distribuiti.

Per i trust non commerciali che producono esclusivamente redditi di natura finanziaria, occorre confrontare il livello nominale di tassazione del Paese ove è stabilito il trust non residente con quello applicabile in Italia sui redditi di natura finanziaria soggetti alle imposte sostitutive o alle ritenute alla fonte a titolo di imposta vigenti nel periodo d’imposta assunto ai fini del confronto (attualmente nella misura del 26 per cento).

L’interposizione del trust

Nell’ipotesi in cui un trust è interposto formalmente nella titolarità di beni o attività (cosiddetta “interposizione fittizia“), il reddito di cui “appare titolare” il trust è assoggettato ad imposizione, per “imputazione“, direttamente in capo all’interponente residente in Italia secondo le categorie previste dall’articolo 6 del TUIR(sia esso il disponente o il beneficiario), considerando il trust quale soggetto interposto.

L’interposizione del trust, ai fini della tassazione del reddito dallo stesso prodotto, fa venir meno l’applicazione delle regole fiscali con riferimento al trust sia opaco che trasparente.

In particolare, le attribuzioni effettuate dal trust interposto non generano redditi imponibili per il beneficiario (anche se diverso dall’interponente), anche se il trust è istituito in un Paese a fiscalità privilegiata. Questo a condizione che e nella misura in cui tali attribuzioni derivino da redditi che, in ragione dell’interposizione del trust, sono già stati assoggettati ad imposizione direttamente in capo all’interponente residente in Italia secondo le categorie previste dall’articolo 6 del TUIR.

Nell’ipotesi di decesso del soggetto disponente, tenuto conto della interposizione del trust tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust, qualificato come interposto.

Determinazione dei redditi di capitale

Ai fini della determinazione del reddito di capitale da assoggettare a tassazione in capo al beneficiario (anche non “individuato“), vi è una presunzione legale relativa con la finalità di assicurare l’imposizione dei redditi anche nel caso in cui il beneficiario della “attribuzione” non riceva dal trustee elementi idonei ad individuare la parte imponibile come reddito di capitale dell’attribuzione ricevuta.

Il comma 4-quater all’articolo 45 del TUIR prevede che: “Qualora in relazione alle attribuzioni di trust esteri, nonché di istituti aventi analogo contenuto, a beneficiari residenti in Italia, non sia possibile distinguere tra redditi e patrimonio, l’intero ammontare percepito costituisce reddito“.

Si tratta di una presunzione relativa, con la finalità di assicurare l’imposizione anche nel caso in cui il beneficiario della “attribuzione” effettuata dal trust opaco estero stabilito in giurisdizioni a fiscalità privilegiata non riceva dal trustee elementi idonei ad individuare la parte imponibile della stessa.

Con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione, sebbene la disposizione operi un generico riferimento ai “trust esteri“, si ritiene che la stessa si applichi, in linea di principio, ai trust opachi stabiliti in giurisdizioni a fiscalità privilegiata in quanto:

  • La relazione illustrativa nella parte in cui chiarisce che la modifica risolve “il problema inerente i redditi provenienti da trust opachi esteri per i quali spesso i beneficiari italiani si dicono impossibilitati a distinguere la parte delle attribuzioni riferibile al patrimonio del trust rispetto a quelle riferibili al reddito”;
  • Sotto il profilo sistematico le attribuzioni da parte di trust opachi esteri a beneficiari residenti, ordinariamente, non danno luogo a tassazione in capo agli stessi.

Distinzione tra quota patrimoniale distribuita e reddito

L’applicazione della disposizione implica che sia operata una distinzione tra la quota di attribuzione riferibile:

  • Al “patrimonio“, costituito dalla dotazione patrimoniale iniziale ed ogni eventuale successivo “trasferimento” effettuato dal disponente (o da terzi) a favore del trust; e quella,
  • Al “reddito“, costituito da ogni provento conseguito dal trust, compresi i redditi eventualmente reinvestiti o capitalizzati nel trust stesso.

Ai fini della applicazione della presunzione, occorre rideterminare il reddito secondo la normativa fiscale italiana. Pertanto, l’intero ammontare percepito costituisce reddito di capitale per il beneficiario residente in Italia qualora non emerga, da apposita documentazione contabile ed extracontabile (ad esempio, a titolo meramente esemplificativo, rendicontazioni bancarie, finanziarie, ecc.) del trustee, la distinzione fra il patrimonio e il reddito.

Documentazione tramite contabilità analitica

A tal fine, il trustee deve mantenere una contabilità analitica che distingua la quota/attribuzione riferibile al valore dei beni in trust al momento del conferimento iniziale, al netto di eventuali attribuzioni di patrimonio effettuate a favore dei beneficiari, dalla quota riferibile ai redditi realizzati di anno in anno, al netto di eventuali attribuzioni a favore dei beneficiari.

L’eventuale distinzione, tra reddito e patrimonio, operata dalle delibere di distribuzione del trust, deve essere in ogni caso supportata dalla documentazione contabile del trust.

Ad esempio, nel caso di distribuzione del provento derivante dalla vendita di un bene, conferito in trust dal disponente, costituisce reddito la parte eccedente il costo o valore di acquisto del bene come risultante dalla documentazione contabile.

Anche con riferimento ai redditi attribuiti da trust opachi stabiliti in giurisdizioni a fiscalità privilegiata da assoggettare ad imposizione nei confronti dei beneficiari residenti deve essere ricompresa la generalità dei redditi prodotti dal trust ovunque nel mondo e, che, qualora siano oggetto di attribuzione redditi di fonte italiana percepiti dal trust e già tassati nei suoi confronti in Italia, gli stessi non sono oggetto di imposizione nei confronti del beneficiario residente al quale sono attribuiti.

Imputazione dei redditi di capitale sui beneficiari

Il principio d’imputazione in capo ai beneficiari del reddito conseguito dal trust trasparente riguarda soltanto quei redditi che non sono stati tassati con:

  • Imposta sostitutiva o
  • Ritenuta a titolo d’imposta in capo al trust

al momento della percezione. Questi ultimi redditi di natura finanziaria non rientrano, infatti, nel principio di “imputazione” ex lege dei redditi conseguiti dal trust. Questo principio assume una valenza significativa per i contribuenti, in quanto l’eventuale reddito imputato per trasparenza ai beneficiari individuati deve essere assunto al netto delle somme già tassate a mezzo della ritenuta a titolo d’imposta o dell’imposta sostitutiva. Infatti, per il trust viene derogata la disciplina generale prevista per i redditi di capitale (all’interno dei quali rientrano – per espressa previsione legislativa – i redditi conseguiti dal beneficiario del trust).

Questi redditi, ordinariamente, sono caratterizzati dall’imposizione per cassa del percipiente. Con riferimento al reddito prodotto dal trust, si osserva che esso deve essere determinato secondo le regole applicabili alla tipologia di ente di cui si tratta (ossia, commerciale o non commerciale, residente o non residente).

Distribuzione dei redditi del trust ai beneficiari

La distribuzione dei redditi del trust ai beneficiari avviene unitamente agli altri redditi prodotti dal trust medesimo e dichiarati nei diversi quadri del modello (ad esempio, quadro RB per i redditi derivanti dai fabbricati, quadro RA per i redditi dei terreni, ecc.) oltre agli eventuali crediti di imposta estera o ritenute di acconto subite.

Il reddito complessivo del trust indicato nel quadro PN – sezione I e VII – deve essere imputato cumulativamente ai beneficiari. Questo in ragione della quota indicata nell’atto di costituzione del trust o altri atti modificativi ovvero in parti uguali in assenza di indicazioni. La successiva imputazione del reddito prodotto dal trust al beneficiario persona fisica – non esercente attività di impresa – costituisce reddito di capitale. Questo indipendentemente dal fatto che il reddito in capo al trust sia da ricondursi a una categoria reddituale diversa e a prescindere dalla circostanza che il trust sia o meno residente in Italia. Tale reddito sconta l’IRPEF secondo le aliquote progressive.

Dal punto di vista dichiarativo, il beneficiario persona fisica non esercente attività di impresa indica il reddito imputato dal trust, comprensivo degli utili, nel modello REDDITI PF al rigo RL4 della sezione I-B del quadro RL. Naturalmente, la successiva percezione monetaria dei medesimi redditi da parte dei beneficiari costituirà una mera movimentazione finanziaria priva di conseguenze fiscali. Per quanto riguarda i dividendi sono applicabili le stesse regole valide per la tassazione di dividendi percepiti da parte di società residenti.

Per approfondire: “Tassazione dei dividendi: guida“.

Fiscalità diretta del trust nelle Convenzioni Internazionali

I trust nelle Convenzioni Internazionali assumono la natura di “other body of persons”. Come tali, essi dovrebbero potere accedere alle norme pattizie. Conclusione, questa, accolta anche dalla Circolare n. 48/E/2007 delle Entrate. In tale documento ai afferma che anche ove non espressamente menzionato nelle singole convenzioni internazionali, il trust deve essere assoggettato alla disciplina di esse.

Il trust, infatti, configura una “persona diversa da una persona fisica” ex articolo 4, comma 3 del modello OCSE di Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Tuttavia, perché sia possibile applicare le Convenzioni contro le doppie imposizioni ai trusts non espressamente contemplati in esse, è, però, necessaria la presenza di una seconda condizione.

Il soggetto, oltre ad essere “persona” ai fini delle Convenzioni, deve anche essere considerato residente in almeno uno degli Stati contraenti ai sensi dell’articolo 4 del modello OCSE. A tali fini, assume rilievo il luogo di direzione effettiva, individuabile nel luogo ove viene effettivamente condotta la gestione dei beni in trust.

Ad esempio, il trust è esplicitamente riconosciuto quale “persona” dall’articolo 3 della Convenzione Italia-USA. L’articolo 4 della Convenzione Italia-USA contiene, tuttavia, una clausola antiabuso. Clausola secondo la quale i benefici convenzionali competono a condizione che il reddito dei trusts e dei patrimoni ereditari venga assoggettato ad imposta nello Stato di costituzione in capo al trust medesimo o ai suoi beneficiari.

Disciplina ai fini delle imposte indirette

Istituzione del trust

L’atto istitutivo con cui il disponente esprime la volontà di costituire il trust, se redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, è assoggettato all’imposta di registro in misura fissa ai sensi dell’articolo 11 della Tariffa, parte prima, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, anche quando nel medesimo atto venga disposta la dotazione patrimoniale al trust.

Dotazione dei beni in trust

La medesima tassazione si applica anche agli atti con cui il disponente dota il trust di beni, vincolandoli agli scopi del trust. Infatti, in linea con l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, tale atto “non determina effetti traslativi perché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso (trustee), che è tenuto solo ad amministrarlo e a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista di un suo ritrasferimento ai beneficiari del trust” (Corte di Cassazione, sentenza n. 8082 del 2020).

Pertanto, ai predetti atti, se redatti con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, sarà applicata l’imposta di registro in misura fissa ai sensi del sopra citato articolo 11 della Tariffa, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986.

La dotazione di beni in trust può comportare la decadenza dalle agevolazioni fiscali ai fini delle imposte indirette fruite dal disponente e collegate al mantenimento dei beni per un determinato intervallo temporale (ad esempio, agevolazione prima casa in relazione ad immobile acquistato dal disponente da meno di cinque anni, ai sensi della Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986).

Attribuzione dei beni ai beneficiari

Gli atti con cui vengono attribuiti i beni vincolati in trust ai beneficiari realizzano il presupposto impositivo dell’imposta sulle successioni e donazioni.

La costituzione del vincolo di destinazione non integra un autonomo presupposto ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni. Tuttavia, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. Nel trust, tale trasferimento imponibile si realizza solo all’atto “di eventuale attribuzione del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo“(sentenza n. 8082 del 2020).

Il momento in cui si realizza l’effettivo trasferimento di ricchezza mediante è quello di attribuzione stabile dei beni confluiti nel trust a favore del beneficiario. Tuttavia, potrebbe essere rinvenibile anche già all’atto di costituzione o di dotazione del trust, nell’ipotesi in cui i beneficiari individuati (o individuabili) siano titolari di diritti pieni ed esigibili, non subordinati alla discrezionalità del trustee o del disponente.

Si tratta di ipotesi in cui i beneficiari nominativamente o, comunque, inequivocabilmente individuati (o individuabili) abbiano il diritto di ottenere dal trustee, in qualunque momento, sulla base delle clausole dell’atto istitutivo e di eventuali ulteriori disposizioni, il trasferimento di quanto spettante.

Potrebbe rientrare nella descritta ipotesi il trust in cui al beneficiario viene attribuito il diritto a ricevere dal trustee un bene, ad esempio un dato immobile o una somma di denaro richiesta, oppure il diritto a ricevere una rendita periodica.

Tale soluzione è coerente con le disposizioni dell’articolo 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 che prevede che “L’imposta è applicata secondo […] gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione […]”.

Liquidazione dell’imposta

Ai fini della liquidazione dell’imposta, si conferma in questa sede quanto chiarito nella Circolare n. 48/E del 2007 secondo cui il trust è un rapporto giuridico complesso con un’unica causa fiduciaria e tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione dell’interesse del beneficiario, il raggiungimento dello scopo) sono collegate alla medesima causa.

Pertanto, le aliquote e le franchigie, previste all’articolo 2, commi 48 e 49 del decreto legge n. 262 del 2006, sono individuate, all’atto della attribuzione dei beni, sulla base del rapporto di parentela intercorrente tra il disponente e il beneficiario.

Al riguardo:

  1. Nel caso in cui il beneficiario è il coniuge o un parente in linea retta del disponente, al valore del bene attribuito viene applicata l’aliquota del 4%, e una franchigia pari a 1.000.000 di euro;
  2. Nel caso in cui i beneficiari sono fratelli e sorelle del beneficiario, l’aliquota applicabile è quella del 6% e la franchigia è pari a 100.000 euro;
  3. Nel caso in cui i beneficiari sono altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta o affini in linea collaterale fino al terzo grado l’aliquota è del 6% e non è prevista nessuna franchigia; nel caso in cui i beneficiari sono altri soggetti l’aliquota applicabile è quella dell’8%.

Ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, trattandosi di una fattispecie di donazione definibile “a formazione progressiva”, con cui il disponente provvederà ad arricchire i beneficiari per mezzo del programma negoziale attuato tramite il trustee, i requisiti della territorialità individuati dall’articolo 2 del d.lgs. n. 346 del 1990, ovvero la residenza del disponente e la localizzazione dei beni apportati, devono essere verificati all’atto di apporto dei beni al trust, momento in cui si verifica l’effettivo “spossessamento” dei beni da parte del disponente per effetto della segregazione.

Atti formati all’estero

Ferme restando le conclusioni dei paragrafi precedenti relative alla tassazione dei trust ai fini delle imposte indirette, che restano valide anche per gli atti relativi ai trust esteri in presenza dei presupposti per l’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni e delle imposte ipotecaria e catastale, con riferimento agli atti di attribuzione di patrimonio posti in essere da trust esteri che risultano formati all’estero, gli stessi sono soggetti ad obbligo di registrazione nei casi previsti dall’articolo 2, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 131 del 1986, ovvero quando “comportano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende esistenti nel territorio dello Stato”.

Obblighi di monitoraggio fiscale

Per effetto della disciplina del cd. monitoraggio fiscale di cui al decreto legge 28 giugno 1990, n. 167 i soggetti obbligati sono tenuti alla compilazione del quadro RW della propria dichiarazione dei redditi per indicare gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Tale adempimento deve essere effettuato non soltanto dal possessore diretto degli investimenti o le attività estere di natura finanziaria, ma anche dai soggetti che ai sensi della normativa antiriciclaggio, risultino essere i “titolari effettivi” dei predetti beni.

Il richiamato articolo 1, comma 2, lettera pp), del decreto legislativo n. 231 del 2007 qualifica come titolare effettivola persona fìsica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo è instaurato, la prestazione professionale è resa o l’operazione è eseguita“. Rientrano nell’ambito di applicazione del monitoraggio fiscale, soggetti, indicati come “titolari effettivi”, che, pur non disponendo direttamente del patrimonio o del reddito di entità quali i trust, sono coloro che in ultima istanza beneficiano delle attività dell’entità giuridica.

Al riguardo, come chiarito con Circolare n. 38/E/2013, in generale, i soggetti obbligati al monitoraggio fiscale sono le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici e i soggetti equiparati, residenti in Italia.

I contribuenti residenti, rientranti nell’ambito soggettivo del monitoraggio fiscale, sono tenuti agli obblighi dichiarativi nell’ipotesi di detenzione di attività, finanziarie e patrimoniali, a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e quindi anche se pervengono da eredità o donazioni.

Interposta persona

Se le attività finanziarie o patrimoniali sono in comunione o cointestate, l’obbligo di compilazione del quadro RW è a carico di ciascun soggetto intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e con l’indicazione della percentuale di possesso. L’obbligo di compilazione del quadro RW sussiste non soltanto nel caso di possesso diretto delle attività da parte del contribuente, ma anche nel caso in cui le predette attività siano possedute dal contribuente per il tramite di interposta persona. È il caso, ad esempio, di soggetti che abbiano l’effettiva disponibilità di attività finanziarie e patrimoniali “formalmente” intestate ad un trust (sia esso residente che non residente.

Ogni qualvolta il trust sia un semplice schermo formale e la disponibilità dei beni che ne costituiscono il patrimonio sia da attribuire ad altri soggetti, disponenti o beneficiari del trust, lo stesso deve essere considerato come un soggetto meramente interposto ed il patrimonio (nonché i redditi da questo prodotti) deve essere ricondotto ai soggetti che ne hanno l’effettiva disponibilità.

Gli obblighi di monitoraggio dei beneficiari

I trust (“trasparenti” e “opachi”) residenti in Italia e non fittiziamente interposti, sono, in linea di principio, tenuti agli adempimenti di monitoraggio fiscale per gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria da essi detenuti. In particolare, il trust trasparente residente deve adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale con l’indicazione del valore delle attività estere e della percentuale del patrimonio non attribuibile ai “titolari effettivi” residenti.

Va da sé che se sussistono soggetti residenti titolari effettivi dell’intero patrimonio dell’ente, quest’ultimo è esonerato dalla compilazione del quadro.

Data l’ampia portata dell’attuale formulazione della norma, si ritiene che nel caso di trust opaco estero, senza quindi beneficiari di reddito “individuati” in Italia ai sensi del TUIR, indipendentemente dallo Stato estero in cui è istituito, i beneficiari dello stesso risultano comunque riconducibili ai “titolari effettivi” ai sensi della normativa antiriciclaggio. Pertanto, qualora nell’atto di trust opaco estero o da altra documentazione risultino perfettamente individuati i beneficiari dello stesso o facilmente individuabili (ad esempio i discendenti in linea retta del disponente), questi ultimi se residenti in Italia sono soggetti all’obbligo di compilazione del quadro RW.

Per permettere ai “titolari effettivi” del trust di adempiere ai suddetti obblighi dichiarativi, il trustee è tenuto ad individuare i titolari effettivi degli investimenti e delle attività detenuti all’estero dal trust e comunicare agli stessi i dati utili per la compilazione del quadro RW: la quota di partecipazione al patrimonio, gli investimenti e le attività estere detenute anche indirettamente dal trust, la loro valorizzazione, nonché i dati identificativi dei soggetti esteri.

Gli obblighi di monitoraggio dei titolari dei poteri di rappresentanza direzione ed amministrazione (trustee, disponente e guardiano)

La giurisprudenza di legittimità ha sancito l’obbligo di compilazione del quadro RW non solo per gli intestatari formali delle attività estere, ma anche per coloro che «ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione (Cass., Sez. III, sentenza 11 giugno 2003, n. 9320, Cass., Sez. V, sentenza 7 maggio 2007, n. 10332, ass., Sez. V, sentenza 21 luglio 2010, n. 17051, Cass., Sez. V, sentenza 23 ottobre 2013, n. 24009), ossia in capo al soggetto che “all’estero abbia la detenzione e/o la disponibilità di fatto di somme di denaro non proprie, eventualmente con il compito fiduciario di trasferirle all’effettivo beneficiario o di utilizzarle per conto dell’effettivo titolare“, ciò in quanto anche la detenzione nell’interesse altrui costituisce, secondo la Corte di Cassazione, idoneo strumento (voluto pure dal detentore nell’interesse altrui) di occultamento, e quindi di sottrazione al controllo degli investimenti e delle attività finanziarie previsti dalla norma.

La detenzione non si configura qualora una persona sia chiamata ad operare su di un conto estero per operazioni indicate dallo stesso titolare del conto che, per loro natura, escludono che il delegato detenga le attività finanziarie allocate sul rapporto oppure quando la delega riguardi un rapporto che è oggettivamente escluso dal monitoraggio fiscale.

Ad esempio, non sono tenuti alla compilazione del quadro RW gli amministratori di società di capitali che hanno il potere di firma sui conti correnti della società in uno Stato estero, dei quali si ha evidenza nelle scritture contabili, e che hanno la possibilità di movimentare capitali, pur non essendo beneficiari dei relativi redditi. Inoltre, non sono tenuti agli obblighi dichiarativi i soggetti che, sebbene delegati ad effettuare operazioni di investimento mobiliare su rapporti esteri, non possono effettuare operazioni di versamento e prelevamento o operazioni a queste corrispondenti.

Il titolare effettivo

Ai fini della normativa antiriciclaggio, nel caso in cui il cliente sia persona giuridica privata, l’articolo 20, comma 4, del D.Lgs. n. 231/2007 individua come titolari effettivi, tra gli altri, “i titolari di poteri di rappresentanza legale, direzione e amministrazione“. Il successivo comma 5 del citato articolo 20 individua un criterio residuale in base al quale, se non altrimenti individuato, “il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le persone fisiche titolari, conformemente ai rispettivi assetti organizzativi o statutari, di poteri di rappresentanza legale, amministrazione o direzione della società o del cliente comunque diverso dalla persona fisica“. Con riferimento alle persone giuridiche private, la disposizione in commento, individua tali soggetti come titolari effettivi sia in via principale che in via residuale.

Con la Risoluzione n. 53/E/2019 è stato chiarito che la definizione di titolare effettivo prevista dalla disciplina antiriciclaggio che si applica ai soggetti titolari di funzioni di direzione e amministrazione non possa essere estesa nell’ambito della disciplina del monitoraggio fiscale. Ai fini della disciplina del monitoraggio fiscale deve, dunque, sussistere una relazione giuridica (intestazione) o di fatto (possesso o detenzione) tra il soggetto e le attività estere oggetto di dichiarazione e che sono pertanto tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione. Di conseguenza, con la citata risoluzione, sono stati esonerati dagli obblighi di compilazione del quadro RW i titolari di funzioni di direzione ed amministrazione di una fondazione italiana in relazione alle attività finanziarie detenute all’estero dalla fondazione.

Il trustee

Pertanto, deve ritenersi esclusa l’esistenza di un autonomo obbligo di monitoraggio nell’ipotesi in cui il soggetto possa esercitare in relazione alle attività detenute all’estero un mero potere dispositivo in esecuzione di un mandato per conto del soggetto intestatario, ovvero nell’ipotesi in cui il soggetto agisca come rappresentante legale.

Analoga esclusione, dall’obbligo di monitoraggio fiscale, continua a sussistere anche alla luce della nuova definizione di titolare effettivo, per il trustee, in quanto si ritiene che quest’ultimo amministri i beni segregati nel trust e ne disponga secondo il regolamento del trust o le norme di legge e non nel proprio interesse.

Non sarebbe, infatti, proporzionale alle finalità delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale una generalizzata estensione dell’obbligo di compilazione del quadro RW al trustee, al disponente ed al guardiano, in particolar modo nei casi in cui l’obbligo di monitoraggio sussiste, già, in capo al trust o al beneficiario titolare effettivo. Ciò, anche, al fine di non moltiplicare gli adempimenti dichiarativi con riferimento al medesimo patrimonio o attività estera e nel presupposto che il coinvolgimento del trustee, del disponente e del guardiano, nelle vicende del trust, non si traduca nel possesso o nella detenzione del patrimonio o reddito del trust stesso nei termini sopra specificati.

Applicazione dell’IVIE e dell’IVAFE

L’art. 1, co. 710 e 711 della Legge n. 160/2019 ha modificato l’ambito soggettivo di applicazione dell’imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE). A decorrere dal periodo d’imposta 2020, sono soggetti passivi di tali imposte, oltre alle persone fisiche, anche gli enti non commerciali e le società semplici (e soggetti equiparati) residenti in Italia.

Rientrano nell’ambito oggettivo dell’IVIE e dell’IVAFE, i soggetti tenuti ad assolvere gli obblighi di monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990 per gli investimenti e le attività detenuti all’estero, adempimento che si esplica mediante la compilazione del quadro RW. Pertanto, i trust residenti in Italia devono assolvere al pagamento di tali imposte per gli immobili e le attività finanziarie detenute all’estero.

Presupposto applicativo

Il presupposto oggettivo per l’applicazione dell’IVIE è costituito dal possesso di un immobile all’estero a titolo di proprietà o di altro diritto reale, a qualsiasi uso esso sia destinato dai predetti soggetti residenti nel territorio dello Stato.

Quanto al requisito della residenza fiscale dei soggetti passivi dell’imposta, per i trust occorre far riferimento all’articolo 73, comma 3, del TUIR che stabilisce che si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano residenti nel territorio dello Stato, salva prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli inclusi nella cd. “white list”, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

Si considerano, altresì, residenti in Italia i trust istituiti nei predetti Stati o territori non inclusi nella white list quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.

IVIE

L’IVIE è dovuta nella misura dello 1,06 per cento in proporzione alla quota di titolarità del diritto di proprietà o altro diritto reale e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto tale diritto, con una franchigia di 200 euro.

Il valore è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile. Tuttavia, per gli immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo SEE, che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore da utilizzare al fine della determinazione dell’imposta è prioritariamente quello catastale, come determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile è situato ai fini dell’assolvimento di imposte di natura reddituale o patrimoniale ovvero di altre imposte determinate sulla base del valore degli immobili.

Dall’imposta si detrae, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’importo dell’eventuale imposta patrimoniale versata nell’anno di riferimento nello Stato estero in cui è situato l’immobile e ad esso relativa. Resta fermo che per gli immobili per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d’imposta fattispecie di esonero dalla compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi prevista dall’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 167/1990 il trust è comunque tenuto al versamento della relativa IVIE qualora dovuta.

IVAFE

Anche l’IVAFE si applica nei confronti dei trust residenti in Italia che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altro diritto reale, e indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione, in proporzione alla quota di possesso e al periodo di detenzione. Tale imposta si rende applicabile sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero da persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del TUIR, residenti nel territorio dello Stato.

L’IVAFE si applica, in misura differenziata, sul valore dei “prodotti finanziari”, dei “conti correnti” e dei “libretti di risparmio“. L’imposta è dovuta nella misura del 2 per mille del valore dei prodotti finanziari. A tale proposito, per poter giungere alla definizione dei “prodotti finanziari” utile all’applicazione dell’IVAFE, è necessario fare riferimento all’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta di bollo di cui all’articolo 13 della citata Tariffa.

Prodotti finanziari e base imponibile

Per “prodotti finanziari” si intendono quelli elencati all’articolo 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati52 (cfr. Circolare n. 48/E/2012). Per i conti correnti e i libretti di risparmio intestati a trust residenti in Italia l’imposta è dovuta da un minimo di 100 euro ad un massimo di 14.000 euro.

Si ritiene opportuno ricordare che la base imponibile dell’IVAFE è costituita dal valore di mercato delle attività finanziarie, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui esse sono detenute, anche utilizzando la documentazione dell’intermediario estero di riferimento per le singole attività ovvero dell’impresa di assicurazione estera. In mancanza del valore di mercato si deve far riferimento al valore nominale o al valore di rimborso.

Inoltre, è possibile detrarre dall’IVAFE, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui sono detenuti i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio.


Conclusioni e consulenza fiscale

In questo articolo ho cercato di spiegarti i principali elementi di fiscalità diretta del trust. L’aspetto più importante che devi ricordare è che la fiscalità del trust deriva dalla sua struttura da un punto di vista civilistico. Per questo motivo è di fondamentale importanza costituire un trust quanto più in linea con le proprie aspettative da un punto di vista civilistico per poi applicare la relativa normativa fiscale.

La differenza fondamentale in termini di tassazione è quella che riguarda le due variabili sopra individuate. Mi riferisco al trust opaco tassato ai fini IRES, e il trust trasparente tassato ai fini IRPEF sui beneficiari. La tassazione poi, sconterà regole diverse a seconda della natura commerciale o meno dell’attività esercitata dal trust.

Se vuoi avere maggiori informazioni sulla fiscalità del trust in Italia, contatami per ricevere una consulenza personalizzata.


Fonte:

Circolare del 20/10/2022 n. 34 – Agenzia delle Entrate – Divisione Contribuenti

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