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Contraffazione del marchio online: il cybersquatting

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Il moltiplicarsi delle piattaforme e-commerce e la pubblicizzazione di un marchio registrato in rete è, ormai, una consuetudine capace di generare grandi opportunità per le imprese.

Se da un lato il web costituisce un mezzo prezioso per accrescere la notorietà dell’azienda, i titolari del marchio che decidono di percorrere questa via sono inevitabilmente esposti ad ulteriori rischi rispetto alle problematiche connesse all’utilizzo illecito del marchio altrui. In questo contesto, il cybersquatting è divenuto ad oggi una tra le pratiche più diffuse: la registrazione di un nome di dominio corrispondente al proprio marchio è elemento essenziale per far sì che il pubblico riesca facilmente a collegare quel determinato marchio a quel determinato sito web. Il cybersquatting, conosciuto anche come domain squatting, è la pratica illecita volta alla registrazione di un nome a dominio che corrisponde o assomiglia ad un marchio o ad impresa nota senza aver ricevuto la preventiva autorizzazione da parte del titolare.

Tra gennaio e ottobre 2020, la World Intellectual Property Organization ha trattato migliaia di casi di cybersquatting. Ma cosa si intende con cybersquatting e come si può proteggere un’impresa da questa pratica?

Il Cybersquatting

Il cybersquatting, conosciuto anche come domain squatting, è la pratica illecita volta alla registrazione di un nome a dominio che corrisponde o assomiglia ad un marchio o ad impresa nota senza aver ricevuto la preventiva autorizzazione da parte del titolare.

Solitamente, i “cybersquatters” registrano tale nome di dominio per poi rivenderlo al titolare del marchio corrispondente ad una cifra decisamente più alta del costo di registrazione.

Per registrare un nome di dominio infatti, vige il c.d. criterio di tempestività: “first come, first served”. Il primo utente che registra un nome di dominio, che non risulta già registrato da qualcun altro, ha il diritto di ottenerlo. Le autorità preposte alla registrazione sono tenute a verificare esclusivamente che quel nome di dominio sia disponibile, per cui l’unico modo per il titolare del marchio per prevenire il cybersquatting è assicurarsi di registrare il dominio per primo.

Principali componenti

  • Il nome di dominio identico o simile a un marchio registrato. Anche se generalmente il comitato arbitrale interpellato decide caso per caso se un dominio in questione può confondere o ingannare le persone è importante dire che una valutazione più pregnante si ha nel caso in cui dall’altra parte vi sia un “marchio registrato”. Una persona o un’azienda può cercare un rimedio legale solo dopo aver registrato il suo marchio. Se l’azienda o la persona è già famosa ma non ha ancora registrato il marchio, e se qualcun altro compra il dominio con l’intenzione di venderlo al proprietario del marchio in futuro ad un prezzo maggiorato, è bene sapere che si ricade ugualmente in una ipotesi di cybersquatting.
  • Il dominio è stato ottenuto in malafede. Nel caso in cui dominio sia stato registrato con l’intenzione di vendere il dominio al proprietario del marchio originale ad un prezzo maggiorato, attirare traffico sul sito web per guadagnare soldi dalla pubblicità o dal marketing affiliato, usare il dominio al fine di eseguire truffe di phishing, vendere il nome del dominio ai concorrenti, rovinare la reputazione di una persona o azienda, mostrare disaccordo con la causa o la missione del sito originale, avviare un business simile e sfruttare la buona volontà del marchio stabilito per ingannare i propri clienti.

In tutti i casi sopra menzionati i tribunali considerano l’intenzione del registrante connotata da malafede.

  • Il registrante non ha alcun interesse apparente o legittimo nel nome di dominio. A volte le persone finiscono involontariamente per comprare nomi di dominio che assomigliano a imprese famose o celebrità. Alcune parole sembrano uniche o astratte in una lingua ma sono popolari e marchio di fabbrica in altre lingue.

Il fenomeno del Cybersquatting in Italia

I comportamenti sopra evidenziati, in Italia, violano una serie di diritti a livello nazionale sotto molteplici profili. In primo luogo, l’utilizzo non autorizzato del nome a dominio configura un illecito civile, ex art. 12 e 22 Codice della Proprietà Industriale, determinando “un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere in un rischio di associazione fra i due segni” che consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio e recando pregiudizio.

In secondo luogo, il solo detenere o essere in proprietà del nome a dominio di altrui società o nome di persona configura il cybersquatting e il domain grabber, fenomeni illeciti nel nostro ordinamento e tutelabili da un risarcimento danni. Inoltre, il detenere il nome di dominio altrui, viola disciplina codicistica della concorrenza sleale ex artt. 2598 ss. c.c.

Tipologie

La registrazione in mala fede di un dominio corrispondente ad un marchio registrato può essere effettuata per molteplici scopi: alla più comune intenzione di rivendere il dominio illegittimamente registrato al fine di ottenere un indebito guadagno, si possono affiancare anche ulteriori ipotesi di condotte criminose.

Il typosquatting è uno dei tipi più comuni di cybersquatting. In questa situazione, un soggetto compra intenzionalmente nomi di dominio scritti con un impercettibile errore ortografico, al fine di renderlo inevitabilmente confondibile con un altro e ingannando così chi naviga in rete. Più frequentemente, sono vittima di typosquatting i siti web corrispondenti a marchi con un alto grado di rinomanza.

L’obiettivo del typosquatting è quindi quello di creare un sito web illegittimo su cui le persone atterreranno quando faranno un errore di battitura (cioè, sbagliano a scrivere o premono uno o più tasti sbagliati quando scrivono il nome di un dominio). Tale pratica comporta l’aggiunta o l’omissione di numeri, lettere o punti nell’ortografia originale di un dominio. Include anche lo scambio dell’ordine delle lettere o delle parole in un dominio. Fondamentalmente, include qualsiasi variante ortografica che le persone potrebbero digitare in modo errato.

Un’altra pratica è quella dello sfruttamento dei Top level domain, ovvero dell’ultima parte di un nome di dominio come .com, .ca, .tech, .org, e altri. I cybersquatters sfruttano questa situazione e comprano i domini corrispondenti di un’impresa popolare con diversi top level domain.

Infine, sebbene sia una pratica rara, alcune aziende comprano i “typo-domains” dei loro concorrenti e realizzano un sito web inappropriato o dannoso per l’immagine del marchio concorrente e reindirizzano il traffico al proprio sito web.

Conclusione: come tutelarsi?

In Italia non esiste ancora un’apposita disciplina normativa sul fenomeno del cybersquatting. La giurisprudenza, tuttavia, ha riconosciuto che il nome di dominio costituisce a tutti gli effetti un segno distintivo dell’impresa, per cui le vittime di cybersquatting sono attualmente tutelate dal codice della proprietà industriale e, in generale, dalle leggi che tutelano il marchio.

L’art. 22 c.p.i., in particolar modo, stabilisce che:

“è vietato adottare come… nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o un altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tre l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico…”.

Inoltre, il titolare del marchio registrato che ritiene di aver subito cybersquatting ha la possibilità di ricevere tutela attraverso due diverse vie: può scegliere di instaurare un arbitrato, oppure può promuovere una procedura di riassegnazione in seguito a opposizione.

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