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Rimanenze di magazzino: valutazione e svalutazione dei beni

L’articolo 92 del DPR n 917/86, detta le regole per l’iscrizione fiscale delle rimanenze di magazzino e consente la svalutazione dello stesso. Questo qualora il valore unitario medio dei beni sia superiore al valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio. La valutazione delle rimanenze di magazzino secondo i principi contabili nazionali e secondo la disciplina fiscale sulle imposte dirette. 

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Le rimanenze di fine esercizio di beni, materie prime, sussidiarie e semilavorati rappresentano costi sostenuti per l’acquisto o la produzione di determinati beni, i cui ricavi saranno però realizzati solo nell’esercizio successivo. Pertanto, in base al principio di competenza economica, tali costi dovranno essere rinviati in esercizi futuri, nei quali si rileveranno i relativi ricavi.

Da un punto di vista fiscale l’articolo 92 del DPR n 917/86 afferma che le rimanenze possono essere valutate direttamente a costi specifici. In alternativa, le rimanenze possono essere valutate ad un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura o valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato applicando il criteri del FIFO, LIFO a scatti annuali e costo medio.

Qualora in un esercizio il valore unitario medio dei beni sia superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni per il valore normale.

La quantificazione del corretto costo delle rimanenze finali da sospendere è indispensabile sia:

  • Da un punto di vista civilistico, per la rappresentazione veritiere e corretta del bilancio;
  • Da un punto di vista fiscale, per la determinazione del corretto carico fiscale dell’esercizio.

Vediamo insieme in questo contributo quali potrebbero essere le problematiche legate alla deduzione fiscale della svalutazione del magazzino nelle imprese commerciali.

Quali sono le tipologie di rimanenze di magazzino esistenti?

Le tipologie di rimanenze esistenti sono:

  • Materie prime, compresi i beni acquistati soggetti a ulteriori processi di trasformazione (cosiddetti semilavorati di acquisto);
  • Materie sussidiarie e di consumo (costituite da materiali usati indirettamente nella produzione);
  • Prodotti in corso di lavorazione (beni materiali, parti e assiemi in fase di avanzamento);
  • Semilavorati (parti finite di produzione interna destinate ad essere utilizzate in un successivo processo produttivo);
  • Merci, quindi beni acquistati per la rivendita senza subire rilevanti trasformazioni;
  • Prodotti finiti, di propria fabbricazione.

Dove si collocano le rimanenze di magazzino in bilancio?

Le rimanenze di magazzino trovano collocazione negli schemi di bilancio alla voce C.I. (da C.I.1 a C.I.5) dell’attivo circolante e alle voci A2 (prodotti finiti, prodotti in corso di lavorazione, semilavorati) e B11 (materie prime, sussidiarie, di consumo e merci) del conto economico come differenza tra le rimanenze iniziali e quelle finali.

Rimanenze di magazzino: disciplina civilistica

Le rimanenze di magazzino sono costituite da beni destinati alla vendita o che concorrono alla normale attività dell’impresa, e quindi destinati ad essere utilizzate nel ciclo produttivo. Le rimanenze di magazzino possono essere suddivise tra:

  • Le merci (prodotti acquistati per la rivendita);
  • I prodotti finiti (manufatti dall’impresa) e
  • I semilavorati. Articoli che includono le parti finite di acquisto e di produzione destinate alla fabbricazione del prodotto finito o ad un ulteriore processo intermedio di produzione. Si tratta di parti che hanno identità fisica e contabile definita.

La differenza tra il valore delle rimanenze alla fine e all’inizio dell’esercizio determina un costo o un ricavo rilevato a conto economico. Questo valore che può trovare indicazione tra:

  • Il valore della produzione nel caso in cui la variazione riguardi le rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti.
  • Nei costi della produzione se la variazioni positiva o negativa riguarda materie prime, sussidiarie di consumo e merci.

L’articolo 2426 comma 1 n. 9 del codice civile si occupa della valutazione delle rimanenze di magazzino stabilendo che le stesse debbano essere iscritte in bilancio:

al minore tra il costo di acquisto o di produzione, e il valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato

In pratica, la valutazione delle rimanenze di magazzino comporta ogni anno il riesame dei costi sostenuti per essere confrontati con il valore desumibile dall’andamento del mercato.

Valutazione delle rimanenze di magazzino

Quindi, possiamo affermare che la regola base per la determinazione del valore delle rimanenze è il costo relativo ad ogni singola unità fisica (di materie prime, merci, prodotti finiti). Tuttavia, la specifica identificazione del costo può essere adottata solo nel caso in cui le voci delle rimanenze non siano costituite da beni fungibili.

Valutazione al costo

Il costo d’acquisto è costituito dal complesso dei costi sostenuti per ottenere la proprietà delle merci nella loro attuale condizione e sito, intendendo come costo d’acquisto il prezzo effettivo dell’acquisto più gli oneri accessori. La valutazione delle rimanenze presupporrebbe l’individuazione e l’attribuzione alle singole quantità fisiche specificatamente sostenute per le unità medesime.

Le possibili tecniche di valorizzazione che possono essere utilizzate per la determinazione del costo di acquisto o di produzione delle rimanenze di magazzino si differenziano a seconda che i beni in giacenza siano:

  • Infungibili. Beni con caratteristiche specifiche che, pertanto, non sono interscambiabili con altri beni. Il legislatore impone la determinazione del loro costo specifico di acquisto o di produzione e l’impiego di tale valore per la valorizzazione delle giacenze di magazzino di tali beni ai fini della predisposizione del bilancio;
  • Fungibili. Beni che presentano caratteristiche omogenee e che possono essere sostituiti da beni dello stesso genere. Le regole del codice civile consentono al redattore del bilancio di valorizzarli al costo specifico o, trattandosi di giacenze che si caratterizzano per una rilevante velocità di rotazione, utilizzando specifici criteri che, facilitandone la valutazione, ne approssimano il valore effettivo.

Individuazione del costo specifico

In particolare, in alternativa alla definizione del costo specifico, è prevista la possibilità di utilizzare (articolo 2426, primo comma, n 9 cc):

  • Il costo medio ponderato. Con questo metodo le quantità acquistate o prodotte non sono più individualmente identificabili e fanno parte di un insieme in cui i beni sono ugualmente disponibili;
  • Il metodo FIFO (first in first out). Con questo metodo si presume che gli acquisti più remoti nel tempo siano i primi ad essere venduti o utilizzati nella produzione. Pertanto, resteranno in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti;
  • Il metodo LIFO (last in first out). Con questo metodo si presume che gli acquisti più recenti siano i primi venduti. Pertanto, resteranno in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più remote (in pratica, in una situazione di prezzi crescenti nel tempo, questo metodo tende a sottostimare il valore del magazzino).

Vediamo di analizzare tali principi, più nel dettaglio, secondo quanto indicato dal principio contabile OIC n 13 del 13 luglio 2005.

Valutazione delle rimanenze al costo medio ponderato

Si assume che le quantità acquistate o prodotte non siano più individualmente identificabili e facciano parte di un insieme in cui i beni sono ugualmente disponibili.

Il costo medio ponderato considera le unità di un bene acquistato o prodotto a date diverse ed a diversi costi come facenti parte di un insieme, in cui i singoli acquisti e le singole produzioni non sono più identificabili, ma sono tutti ugualmente disponibili. Tale metodo ha come finalità quello di uniformare i movimenti nei prezzi per cui esiste differenza tra i prezzi più recenti ed i costi medi.

Valutazione delle rimanenze con il metodo FIFO

Le quantità acquistate o prodotte in epoca più remota sono le prime ad essere vendute ed utilizzate in produzione. Restano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti.

Il metodo FIFO rappresenta l’andamento dei prezzi di mercato, perché valuta il magazzino ai costi più recenti. Tale metodo, inoltre, in molti casi esprime con una certa approssimazione il flusso fisico delle voci di magazzino. Esso assume che gli elementi di costo seguano un ordine cronologico determinato dalla data del loro sostenimento.

Nel caso in cui il flusso fisico è realmente quello che permette di alienare le voci di acquisto più remoto, il metodo FIFO avvicina quello della specifica identificazione del costo.

Il costo FIFO tende a contrapporre nel conto economico a ricavi recenti costi meno recenti. In sostanza, i costi vengono contrapposti ai ricavi nell’ordine in cui tali costi vengono sostenuti. La valutazione delle rimanenze a fine esercizio col metodo FIFO assume che esse siano costituite dalla sommatoria dei costi più recenti.

Di conseguenza, per la valutazione delle rimanenze di magazzino, con tale metodo si assegnano prima gli ultimi costi sostenuti per le ultime quantità acquisite (acquistate o prodotte) nell’esercizio a correlate quantità in giacenza. Poi  i penultimi costi sostenuti per le penultime quantità acquisite, e così via fino a coprire tutte le quantità in giacenza.

Valutazione delle rimanenze con il metodo LIFO

Si ipotizza che gli acquisti o le produzioni più recenti siano i primi ad essere venduti. Di conseguenza, si ritiene che rimangano nel magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più remote, valutate al costo di tali acquisti e produzioni.

Il termine LIFO è l’acronimo inglese di Last In First Out (Ultimo ad entrare, primo ad uscire) e presuppone che vengano scaricati per primi i beni strumentali per ultimi in magazzino.

Esprime il concetto relativo al modo di immagazzinare dati in cui l’ultimo valore introdotto è il primo ad uscire. Il metodo LIFO è uno dei diversi possibili impieghi della gestione delle scorte di magazzino. In relazione al tipo di metodo utilizzato per la valorizzazione delle scorte, e ve ne sono molti, si perviene a risultati di reddito e di valore delle scorte stesse differenti.

Con il metodo LIFO, infatti, se l’ultima merce acquistata è la prima ad essere venduta, il magazzino tenderà ad essere costituito da merci più remote. Questo significa che in una realtà di aumento dei prezzi con il tempo, il reddito sarà più basso. Ai ricavi correnti si contrappongono costi recenti, quindi più alti di quelli passati, considerati, ad esempio con il metodo FIFO (First In First Out).

Valutazione delle rimanenze con il metodo LIFO a scatti

Variante del metodo LIFO che non applica detto criterio di valutazione ad ogni successivo acquisto, ma ad intervalli regolari di tempo (di solito ogni anno). Il primo anno in cui si applica tale metodo, la quantità di giacenza iniziale può essere valutata al costo medio ponderato annuale, oppure al LIFO continuo.

Va evidenziato che le aziende italiane utilizzano molto frequentemente il metodo del LIFO a scatti che rappresenta una variante del LIFO. Tale diffusione è giustificata dal fatto che la variante “a scatti” era il metodo secondo il quale l’Amministrazione finanziaria calcolava il valore minimo del magazzino ai fini della determinazione del reddito imponibile.

Si parla di LIFO a scatti, in quanto il funzionamento è diverso dal LIFO continuo: la valutazione viene fatta non gradualmente in base ad ogni movimento di entrata/uscita, ma soltanto a fine periodo. In sintesi, nel primo periodo, la valutazione della quantità in rimanenze è effettuata applicando il costo del medio ponderato di acquisto o di fabbricazione riferito allo stesso periodo. 

Nell’esercizio successivo è necessario verificate la quantità in rimanenza e confrontarla con quello dell’esercizio precedente, poiché:

  • Se aumentata la quantità preesistente viene valutata come l’esercizio precedente, mentre l’incremento (scatto) si valuta al costo medio ponderato dell’esercizio
  • Se diminuita, si riduce proporzionalmente il valore delle rimanenze dell’esercizio precedente.

Negli esercizi successivi, nel caso di:

  • Ulteriori aumenti, gli scatti positivi, valutati con il costo medio ponderato dell’esercizio di formazione, si aggiungono alle quantità preesistenti che restano inalterate come valore
  • Diminuzione, si assume che i decrementi riguardino gli scatti formatesi per ultimi a partire dal più recente.

Determinazione del valore di presunto realizzo delle rimanenze

Una volta stabilito il valore di costo, questo deve essere confrontato con il valore di presunto realizzo al fine di individuare il corretto valore di iscrizione in bilancio. Così come descrive l’articolo 2426, comma 1, n. 9 del codice civile.

Per quanto riguarda, invece la determinazione del valore di presunto realizzo, da confrontare con il costo di acquisto, l’OIC n 13 prevede che si debba prendere in considerazione il costo di sostituzione per le materie prime, sussidiarie e semilavorati o il valore di netto realizzo per le merci. Per valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato si intende la stima del prezzo di vendita delle merci e dei prodotti finiti nel corso della normale gestione, avuto riguardo alle informazioni desumibili dal mercato, al netto dei presunti costi di completamento e costi diretti di vendita.


Rimanenze di magazzino: disciplina fiscale

Da un punto di vista fiscale, il criterio per la valutazione delle rimanenze di magazzino è stabilito dall’articolo 92 del DPR n 917/86. Articolo secondo il quale la variazione delle rimanenze finali, rispetto a quelle iniziali, concorre alla formazione del reddito d’esercizio.

Le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici (articolo 93 del DPR n 917/86) devono essere iscritte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee:

  1. Per natura, considerando cioè categorie merceologicamente uniformi;
  2. Per valore, includendo i beni il cui valore sia compreso in un range di oscillazione del 20% rispetto al valore minimo.

Questo attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello che si ottiene applicando uno dei seguenti criteri:

  • LIFO a scatti annuale;
  • Costo medio ponderato o FIFO.

Qualora l’impresa, adottando un metodo diverso da quelli fiscalmente riconosciuti, determini un valore di magazzino inferiore a quello ottenibile con il LIFO a scatti annuale, occorrerà apportare un’apposita variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.

Nella determinazione del reddito di impresa, per la valorizzazione contabile del magazzino, il contribuente può applicare uno qualsiasi dei metodi previsti, subordinatamente alla condizione che il valore così ottenuto non sia inferiore a quello minimo determinato a norma dell’art. 92 del TUIR.

Valutazione nei primo esercizio e nei successivi

Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità.

Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, vengono valutate sempre al costo specifico e costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.

Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del F.I.F.O., le rimanenze sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato.


Rimanenze di magazzino: la deducibilità della svalutazione

Nel caso in cui il valore unitario medio dei beni, determinato applicando i metodi convenzionali (FIFO, costo medio e LIFO a scatti annuale), è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo viene determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni. Questo, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale.

Il valore normale

In pratica, l’impresa deve procedere a moltiplicare l’intera quantità dei beni esistenti in magazzino per il valore normale di essi. Questo, indipendentemente dai periodi di formazione. Per individuare il valore normale occorre fare riferimento a quanto stabilito dall’articolo 9, comma 3, del DPR n 917/86. Tale articolo stabilisce che per valore normale:

si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione. Nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati., e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle Camere di commercio ed alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso

In pratica, possiamo dire, che la svalutazione delle rimanenze di magazzino si può effettuare solo qualora il prezzo di mercato (valore normale medio) si sia ridotto rispetto al costo.

Svalutazione del magazzino

Riepilogando, quindi, in ambito fiscale e diversamente da quanto stabilito civilisticamente, la svalutazione del magazzino costituisce una facoltà lasciata alla discrezionalità dell’impresa. Evidentemente, la svalutazione, qualora operata, dovrà essere adeguatamente supportata da elementi oggettivi e sia dimostrabile che la stessa non sia occasionale ma si sia determinata quantomeno nel corso dell’ultimo mese dell’esercizio. Così come sancito dal comma 5, dell’articolo 92 del DPR n 917/86.

La previsione del comma 5 dell’articolo 92 del DPR n 917/86 deve essere utilizzata con particolare cautela. Infatti, in sede di accertamento l’Amministrazione finanziaria potrebbe arrivare ad eccepire che il valore di mercato riferito all’ultimo mese dell’esercizio, sulla base del quale è stata operata la svalutazione, non sia supportato da evidenze oggettive e documentabili. Infatti, qualora in sede accertativa si contesti la determinazione del valore normale utilizzato dal contribuente nelle proprie valutazioni, spetterà al contribuente dimostrare l’effettivo minor valore di mercato dei beni in magazzino. Questo, al fine di non vedersi applicato il valore di costo.

In presenza di svalutazioni del magazzino occorre verificare che la nuova valutazione civilistica, al valore di mercato, non risulti inferiore a quella fiscale, effettuata al valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio. Qualora ciò accadesse, occorre procedere a una variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi.

Aspetti operativi della svalutazione delle rimanenze di magazzino

Nella determinazione del valore delle giacenze di beni fungibili si pone spesso il problema di come valutare il tasso di obsolescenza di merci. Si tratta del caso di merci che magari sono in magazzino da molto tempo e quindi sono invendute. E con ogni probabilità, difficilmente realizzabili per vari motivi.

Come detto, sotto il profilo civilistico l’articolo 2426, punto 9 del Codice civile impone di imputare nel bilancio il valore del magazzino al costo. Considerando, tuttavia, come tetto massimo “il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato“. Questo nel caso in cui tale ultimo ammontare fosse inferiore al costo. La necessità di “deprezzare” il magazzino viene attuata, nella prassi operativa, in due modi diversi:

  • In primo luogo la vera e propria svalutazione del magazzino;
  • In secondo luogo l’imputazione di un fondoobsolescenza magazzino” esposto nel passivo.

Praticamente la seconda modalità rappresenta più che una riduzione del valore, un accantonamento per rischi futuri derivanti, appunto, dall’elevato tasso di obsolescenza delle giacenze. Le due procedure presentano ricadute fiscali e dichiarative molto diverse.

La svalutazione del magazzino: ricadute fiscali

La prima ipotesi è la svalutazione del magazzino per tener conto del valore di mercato alla chiusura dell’esercizio. In merito a tale procedura l’attuale documento OIC 13 non fornisce particolari indicazioni. Mentre nella versione precedente il tema era trattato nel paragrafo D VII a). Articolo in cui si affermava che la valutazione di una voce delle rimanenze al costo originario presuppone che vi sia una ragionevole prospettiva. Attraverso un normale utilizzo e vendita nel normale ciclo operativo.

Se questa condizione non esiste è necessario considerare quale valore netto di realizzo hanno tali voci e ciò richiede di norma l’applicazione di stime. In tal senso la svalutazione delle voci obsolete nelle rimanenze può essere effettuata voce per voce, ovvero creando fondi di deprezzamento. Gli eventuali fondi di deprezzamento devono essere portati a diminuzione della parte attiva.

Ora, considerando che la mancata riproposizione del passaggio sopra ricordato nell’attuale OIC 13 sembra dipendere solo dalla più succinta e schematica forma di wording. Pare che quindi le affermazioni sopra riportate conservano validità operativa. Si può dire, quindi, che la svalutazione per obsolescenza del magazzino può avvenire tramite procedure basate su stime. Tuttavia, in ogni caso il fondo va portato a riduzione del valore dell’attivo. Ciò significa che se anche si volesse procedere a eseguire un accantonamento esso dovrebbe essere portato a diretta riduzione della voce “Variazione rimanenze“. E conseguentemente la eventuale posta “Fondo svalutazione magazzino” sia da considerare come una posta di diretta riduzione della posta “Rimanenze di magazzino” iscritta dell’attivo patrimoniale.

Il fondo rischi futuri: ricadute fiscali

La seconda ipotesi invece rappresenta una svalutazione di magazzino che non dipende da una flessione dei prezzi di mercato rilevata alla chiusura dell’esercizio. Essa dipende dalla previsione di congiunture sfavorevoli che potrebbero determinarsi in futuro o di rischi di invendibilità dei prodotti. Quindi la quota di svalutazione del magazzino riconducibile a valutazioni di questo tipo dovrebbe essere considerata alla stregua di un accantonamento a fondo rischi. Come del resto ha affermato, in passato, la circolare Assonime n. 20/2010, paragrafo 2.6.2.3.

Le ricadute fiscali delle due possibilità di svalutazione

Le due procedure presentano conseguenze fiscali molto diverse:

  • La prima, svalutazione diretta, è riconosciuta quale legittima riduzione del magazzino in base all’articolo 92, comma 5 del DPR n 917/86. Norma in cui si ammette che la flessione civilistico-contabile delle giacenza permetta di ridurre anche il valore fiscale. Considerando come dato di mercato il valore normale medio rilevato nell’ultimo mese dell’esercizio.
  • Al contrario la seconda procedura consiste nell’accantonamento in un fondo rischi, non previsto tra quelli deducibili ex articolo 107 del DPR n 917/86. Dal che ne consegue l’indeducibilità sia sotto il profilo IRES che sotto il profilo IRAP. Si potrà ottenere il riconoscimento fiscale del costo solo nel momento in cui l’evento temuto si verifica realmente.
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