Criteri di collegamento per la tassazione dei redditi da lavoro dipendente svolto all’estero, in Francia, per un soggetto che non si è iscritto all’AIRE. Indicazione legate alla normativa interna e convenzionale con la Francia.


Lavoro a Parigi, devo pagare le imposte in Italia? Proviamo, grazie al quesito posto da un nostro lettore a rispondere definitivamente a questa domanda, dandoti gli strumenti per capire quando, in caso di redditi esteri, sei tenuto a pagare le imposte anche in Italia. Se hai svolto (o stai svolgendo) un lavoro a Parigi (o comunque in Francia) e vuoi sapere se devi dichiarare anche in Italia i tuoi redditi, questo è l’articolo giusto per te.

La tassazione dei redditi percepiti all’estero è sempre un aspetto che genera molta confusione, in quanto vi sono vari aspetti da tenere in considerazione per capire dove devono essere tassati i redditi percepiti all’estero.

Vi sono poi differenze a seconda della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato estero ove il reddito è stato percepito, per questo motivo, dare una risposta generale non è mai possibile, ma è sempre opportuno andare ad analizzare in dettaglio ogni situazione. In questo contributo ci occuperemo di un quesito riguardante i redditi da lavoro percepiti da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che ha effettuato un periodo di lavoro a Parigi, che si chiede se e come sia tenuto a dichiarare nel nostro Paese questi redditi.

Il quesito del nostro lettore

Ecco il quesito pervenutoci: “Sono una studentessa universitaria che si è trasferita a Parigi per uno stage lavorativo in un’azienda di moda. Sono stata in Francia per un periodo superiore a 183 giorni nel corso di quest’anno. L’azienda di Parigi mi ha regolarmente trattenuto le imposte dovute. Non mi sono mai iscritta all’Aire perché non sapevo di doverlo fare. Sono tenuta a presentare la dichiarazione dei redditi e a pagare le imposte sui redditi in Italia? Dovrei iscrivermi all’Aire? Come iscritta all’Aire dovrei presentare la dichiarazione dei redditi in Italia o sarei tenuta a pagare le tasse solo in Francia?

Sono molti gli italiani, soprattutto studenti, ad avere trascorso un periodo di lavoro a Parigi, magari temporaneo, per qualche mese o anno (magari nelle vacanze estive), e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte sui redditi anche in Italia.

Non è raro il caso in cui i lavoratori italiani domiciliati all’estero, ma ancora residenti in Italia, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di dare una risposta chiara a questo argomento.

L’importanza dell’identificazione della residenza fiscale del lavoratore

Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“. Si tratta della disposizione contenuta nell’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86 (TUIR). È in base a questa definizione, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva, a livello fiscale, di ogni Nazione. Sulla base dell’art. 2 del TUIR un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se verifica almeno uno dei seguenti requisiti (per la maggior parte del periodo di imposta):

  • È iscritto all’anagrafe della popolazione residente (ANPR);
  • Ha il proprio domicilio (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia);
  • Ha la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia).

Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso del nostro lettore, che nonostante sia all’estero da oltre 183 giorni nell’anno, non si è mai iscritto all’AIRE, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.

Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del TUIR. Questo principio è uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema fiscale, ma anche quello di molti dei sistemi fiscali dei Paesi europei.

Il concetto è molto semplice. Un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza. Questo, salvo poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte).

Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia. Questo, avviene in concomitanza della verifica di almeno uno dei seguenti requisiti:

  • Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno solare).
  • Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’AIRE).
  • Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza, ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.

Per approfondire: AIRE: Anagrafe degli Italiani residenti all’estero“.

Tra queste fattispecie vi è una presunzione assoluta. Un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia. Questo, indipendentemente dalla prova della sua presenza nel territorio del nostro Paese.

Nella fattispecie del nostro lettore, non essendosi mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, per questa presunzione assoluta, è considerato comunque residente fiscalmente in Italia, anche se dovesse fornire prove certe e non confutabili della sua residenza estera. Questo aspetto è fondamentale e dovrebbe essere chiaro a quanti di voi stanno per andare a lavorare all’estero o progettano di andarci.

In base a quanto previsto dagli articoli 2 e 3 del DPR n. 917/86, i soggetti residenti in Italia che producono redditi all’estero sono tenuti al pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Questo non soltanto sui redditi prodotti in Italia, ma anche sui redditi prodotti all’estero, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto. Per questo motivo il nostro lettore è tenuto ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.

La tassazione dei redditi da lavoro dipendente percepiti all’estero

Se il lavoratore ha residenza fiscale in Italia e svolge attività lavorativa (come dipendente) all’estero, l’art. 23 del TUIR prevede che tale reddito debba essere imponibile anche in Italia. In questo caso, viene a crearsi una fattispecie di doppia imposizione giuridica del reddito. Questo, in quanto la prestazione è resa all’estero, ed ivi tassata, ma il soggetto mantiene la residenza fiscale italiana (ed ai sensi dell’art. 3 del TUIR anche in Italia).

Accanto a questa regola generale vi sono due disposizioni derogatorie che riguardano:

  • L’applicazione delle retribuzioni convenzionali: la prestazione di lavoro deve essere svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, e deve essere svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi;
  • I lavoratori frontalieri: Il lavoro dipendente deve essere svolto in zone di frontiera o in altri Stati limitrofi in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, e il lavoratore deve recarsi quotidianamente all’estero per lo svolgimento della prestazione.

Qualora non possano trovare applicazione queste due disposizioni si applica il regime ordinario sopra indicato.

Convenzioni contro le doppie imposizioni 

Le disposizioni nazionali devono essere coordinate anche con le disposizioni presenti nelle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia. In particolare, il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero è disciplinato dal modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni all’art. 15, secondo il quale:

  • In linea generale, il reddito di lavoro dipendente è tassato nello Stato dove l’attività viene svolta, oltre che, in base ai principi generali, nello Stato di residenza del lavoratore;
  • È però prevista la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore se questo soggiorna nell’altro Stato per un periodo che non oltrepassa i 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi e, contemporaneamente, le retribuzioni sono pagate da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nello Stato dove viene svolta l’attività (e non sono pagate da una stabile organizzazione di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui viene svolta l’attività). 

Secondo l’Agenzia delle Entrate deve seguire questi criteri anche la tassazione del TFR (Risoluzione n. 341/08, Risposte ad interpello n. 343/E/2020, e n. 460/E/2020).

Le retribuzioni convenzionali

Accanto alla regola generale legata alla tassazione ordinaria in Italia del reddito da lavoro dipendente prestato all’estero da parte di soggetto residente abbiamo detto che vi è una disciplina derogatoria legata alle retribuzioni convenzionali. Si tratta della disciplina dettata dall’art. 51, co. 8, del TUIR, secondo il quale:

il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”

Si tratta di una norma agevolativa che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito ma, piuttosto, un reddito figurativo (solitamente più favorevole) previsto dalle tabelle ministeriali delle retribuzioni convenzionali. Questa disciplina, tuttavia, non è applicabile in tutti i casi. Infatti, prima di tutto occorre verificare che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. Si tratta di un Decreto che viene puntualmente pubblicato e aggiornato ogni anno. Inoltre, è necessario il rispetto di ulteriori specifici requisiti legati all’attività del lavoratore:

  • Il lavoratore dipendente deve mantenere residenza fiscale in Italia;
  • Svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa che opera in uno dei settori di attività individuati nel nel decreto ministeriale sulle retribuzioni convenzionali;
  • Il lavoro sia oggetto esclusivo del rapporto;
  • Soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni anche non consecutivi.

Qualora non trovi concreta applicazione una delle condizioni esposte non potrà trovare applicazione l’applicazione delle retribuzioni convenzionali per la tassazione del reddito. In questo caso il reddito deve essere dichiarato prendendo a riferimento la retribuzione effettivamente percepita (secondo il principio di “cassa“).

Disciplina dei lavoratori frontalieri

Il concetto di lavoratore di frontiera (o frontaliere) definisce la figura del lavoratore occupato su un dato territorio di uno Stato, ma residente fiscalmente presso un diverso Paese. Luogo dove, teoricamente e praticamente, si reca quotidianamente o settimanalmente. Si tratta esclusivamente di quei soggetti residenti in Italia che prestano un’attività di lavoro dipendente, in via esclusiva e continuativa, a favore di un datore di lavoro estero e che quotidianamente si recano, appunto, all’estero in Paesi confinanti (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia e San Marino) ovvero in Paesi limitrofi (sulla portata del termine “limitrofo” il Ministero fornisce la sola esemplificazione del Principato di Monaco).

Le caratteristiche quindi che i lavoratori frontalieri devono avere per qualificarsi come tali sono:

  • La residenza sul territorio dello Stato;
  • Il rapporto di lavoro dipendente con un datore di lavoro di uno Stato di confine o limitrofo, con l’Italia;
  • La continuità e l’esclusività del rapporto di lavoro;
  • La quotidianità dei suoi trasferimenti transfrontalieri verso e da, la sede di lavoro.

Da un punto di vista pratico, è previsto che, il reddito di lavoro dipendente prestato in zone di frontiera – che concorre a formare il reddito complessivo insieme ad altri eventuali redditi del contribuente – dovrà subire, a decorrere dal periodo d’imposta 2015, una decurtazione dell’importo pari ad 7.500 euro (c.d. franchigia di esenzione).

Sul punto, è bene rammentare che, la suddetta franchigia di esenzione (prevista in materia di Irpef), per i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero (sempre in zona di frontiera) non deve essere parametrata alla durata del rapporto nell’anno, ma deve essere utilizzata in maniera fissa.

Più precisamente, ai fini dell’applicazione del regime di tassazione in commento si deve:

  • Individuare l’insieme di tutte le somme e valori corrisposti al soggetto in relazione al reddito di lavoro svolto come frontaliero;
  • Operare la riduzione, da tale importo globale annuo, della franchigia di esenzione prevista in materia in materia di Irpef per i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero in zona di frontiera (articolo 3 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388) che risulta quantificata ad €. 7.500;
  • Applicare la tassazione Irpef su tale differenza, secondo le regole ordinarie del DPR n. 917/86.

Attenuazione della doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente estero

Come abbiamo visto, il lavoro in Francia, in questo caso un lavoro a Parigi come stage presso un’azienda, può comportare il pagamento delle imposte sui redditi in Italia. Questo è quanto è dovuto, almeno per il nostro lettore, che si trova a dover pagare le imposte sia in Francia che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito.

Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia (firmata il ventitre gennaio 1992), sia il TUIR, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito. In particolare sia l’art. 24 della Convenzione che l’art. 165 del TUIR prevedono la possibilità che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.

Pagamento delle imposte a titolo definitivo

A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del TUIR prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate a Parigi a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.

Ad esempio, se per il lavoro a Parigi si è percepito un reddito pari a 1.000 euro la tassazione in Francia è pari al 20% ed in Italia pari al 23% il nostro lettore verserà all’Amministrazione finanziaria francese il 20% del reddito e all’Amministrazione finanziaria Italiana la sola differenza del 3%. In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del TUIR.

Lavoro a Parigi e tassazione dei redditi: conclusioni

Cosa possiamo imparare dall’esperienza del nostro lettore?

Prima di tutto è bene ribadire che in questi casi è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti.

Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, quello che posso dirvi è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE.

La questione però non si risolve così semplicemente, è necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero sposti con se il c.d. “centro degli interessi vitali“, intendendo con tale locuzione sia i suoi principali interessi familiari e lavorativi.

Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia o i suoi principali interessi economici in Italia sarà sicuramente soggetto a controlli ed accertamenti, per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale.

Questo, anche se potrà sembrarvi poco conveniente, vi consentirà di risparmiarvi in futuro un possibile lungo e costoso contenzioso fiscale con l’Amministrazione finanziaria.

Anche tu ti sei trasferito all’estero e vuoi saperne di più sulla tua posizione fiscale? Hai letto l’articolo ma ti rimangono ancora dubbi riguardanti la tua situazione specifica?

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26 COMMENTI

  1. Salve, la ringrazio per l’articolo. Purtroppo pero’ non sono esperto in materia di fiscalita’ e vorrei un chiarimento in merito la mia posizione che é la seguente:
    Ho lavorato in Italia da Gennaio 2017 a Ottobre 2017. Terminato questo periodo, mi sono trasferito definitivamente in Francia, dove ho percepito 2 stipendi (novembre e dicembre). Sono regolarmente iscritto all’AIRE da novembre2017.
    Data la mia posizione, dovro’ dichiarare i redditi francesi in Italia (con tassazione al 3%) e poi in Francia (con tassazione al 20%), giusto?

  2. Per quesiti di carattere personale che richiedono maggiori dettagli per una risposta, come nel suo caso, mi contatti in privato.

  3. Buongiorno,
    sono due anni che vivo a Londra e risulto assunta come dipendente da una societa’ inglese, sono anche iscritta all’Aire.
    Da aprile 2018 sono rinetrata in Italia per motivi familiari e non so ancora quanto tempo dovro’ restare.
    Volevo sapere cosa succede con i redditi che sto percependo dalla societa’ inglese, devo pagare le tasse anche in italia? Se si in quale caso? C’e’ un limite che mi consente di restare in Italia senza doppia imposizione.
    Vi ringrazio anticipatamente per le informazioni che riuscirete a fornirmi.
    Cordiali saluti

  4. Tutto dipende da quanto tempo è Italia e quanto tempo vi resterà ancora. Bisogna analizzare la situazione con maggiore dettaglio. Se ha dubbi per la dichiarazione dei redditi da presentare, se vuole la contatto in privato con un preventivo per la consulenza.

  5. Salve, devo dichiarare reddito prodotto in Francia ma sono residente in italia. Devo dichiareare il un salaire net imposable ( che mi pare includa anche i contributi previdenziali sanitari ecc) o il Salaire Brut.
    Grazie

  6. Leggendo la convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia all’ art.4 questa sembra stabilire che in caso di doppia residenza, quando cioè in base alle norme francesi si risulta residenti in Francia e in base a quelle italiane si risulta residenti in Italia allora la residenza è fissata “nello Stato nel quale ha
    un’abitazione permanente; se essa dispone di un’abitazione permanente in
    entrambi gli Stati, e’ considerata residente dello Stato nel quale le sue
    relazioni personali ed economiche sono piu’ strette (centro degli interessi
    vitali); se non si puo’ determinare lo Stato nel quale detta persona ha il centro
    dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in
    alcuno degli Stati, essa e’ considerata residente dello Stato in cui soggiorna
    abitualmente”.
    Ancora all’articolo 15 recita “Salve le disposizioni degli articoli 16, 18, 19, 20 e 21, i salari, gli
    stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato
    riceve in corrispettivo di un’attivita’ dipendente sono imponibili soltanto in
    detto Stato”.
    Questo non significa che una persona che vive e lavora stabilmente in Francia durante tutto l’anno solare (e quindi in base all’art 4 è residente in Francia) è dispensata dal pagamento delle tasse in Italia?

  7. Enrico, l’articolo 4 è utilizzabile per stabilire in quale Paese un soggetto ha la propria residenza fiscale. L’articolo 15 regola la tassazione dei redditi da lavoro dipendente. Tali redditi sono imponibili nello Stato ove sono generati (Francia), ed anche nello Stato di residenza fiscale (Italia). In Italia potrà poi evitare la doppia tassazione con credito di imposta. La convenzione non è di facile lettura per i non addetti ai lavori e senza aiuto si può rischiare di commettere errori.

  8. Ma io, oltre a lavorarci, soggiorno abitualmente ed ho abitazione permanente in Francia, non in Italia. In quel caso la residenza Fiscale è la Francia no?

  9. Gent.mo Dott. Milgiorini, complimenti per l’articolo. Per pura logica ritengo pero’ che l’indicazione
    del lettore , in merito all’art.15 della Convenzione Francia Italia, venga (volutamente) interpretata dall’Agenzia delle Entrate riconducendola sempre alla casistica più frequente (ossia dipendente che si trasferisce per un periodo anche superiore a 183 giorni, ma dipendente da una ditta Italiana (o con stabile organizzazione in Italia)).
    Nel caso del commento precedente, mi è sembrato di capire che l’organizzazione è estera, non è chiara l’utilità dell’art.15 se alla fine si ricade nel caso più classico della doppia imposizione, pur con il beneficio del credito d’imposta. Come lei ha dettagliatamente indicato, l’opportunità offerta dalle retribuzioni convenzionali, si basa principalmente sul non vedere tassata la parte di benefit che viene offerta al dipendente inviato all’estero. MA, per un dipendente di una ditta estera e svolge l’attività all’estero, non esistono benefit per la permanenza all’estero, per cui alla fine si verrebbe riassoggettati alla rivalutazione di imposizione fiscale (ritrafilatura IRPEF italiana invece che francese più conveniente) con l’eventuale finto beneficio del credito d’imposta . L’art.15 è molto chiaro “i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo di un’attivita’ dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attivita’ non venga svolta nell’altro Stato. Se l’attivita’ e’ quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato” . L’attività quivi svolta (Francia nel caso di specie) sono imponibili in quest’altro stato. Chiarissimo. Se si ricade sempre nel caso del doverli ridichiarare questo articolo della convenzione non è chiaro che utilita’ abbia.
    Ma dato che la prassi è poi fissata dall’Agenzia delle Entrate, in barba a qualsiasi cosa dicono le convenzioni che generalmente millantano l’applicazione più favorevole al contribuente, sicuramente l’interpretazione ufficiale sarà quella più sfavorevole al contribuente… Italia, nel dubbio la versione corretta è sempre quella in cui si paga di più (ma solo per piccoli contribuenti, la verità).

  10. ho lavorato in francia solo il mese di dicembre ma risiedo in italia, sono dovuto a fare il 730?

  11. Dr Migliorini, la mia situazione è quasi analoga a quella qui prospettata. Sono un ricercatore con contratto a tempo determinato a Parigi. Non ho fatto l’iscrizione all’Aire. Deduco che dovrò presentare in Italia la dichiarazione dei redditi percepiti in Francia. Non mi è chiaro tuttavia, anche leggendo attentamente la convenzione fra i due Stati, se posso usufruire, in sede di 730, del credito d’imposta delle ritenute subite in Francia o se dovrò richiedere successivamente il rimborso allo Stato Francese. La prego, mi illumini, il tempo stringe e il dilemma mi sta angosciando!

  12. Il mio caso non è dissimile, ma sono tormentato da un dubbio. Sono un ricercatore con contratto a tempo determinato presso una Università di Parigi. Purtroppo non ho fatto l’iscrizione all’Aire. Adesso devo fare la dichiarazione dei redditi in Italia. Al fine di evitare la doppia imposizione, posso usufruire del credito d’imposta, detraendo le imposte gia trattenute in Francia, o devo chiedere in tempi successivi il rimborso alla Stato Francese? Grazie infinite.

  13. Per rispondere alla sua domanda bisogna analizzare meglio la sua situazione, con queste informazioni, probabilmente beneficerà del credito di imposta. Le occorre un Commercialista esperto in grado di predisporre correttamente al sua dichiarazione dei redditi.

  14. Egr. Dott Migliorini una precisazione che gradirei e’ sapere se un residente Italiano con contratto di lavoro dipendente a tempo determinato di 2 anni in è tenuto comunque a presentare la dichiarazione dei redditi in Francia oltre come già chiarito in Italia con il diritto al credito delle imposte pagate in quel paese. Grazie.

  15. Prima di tutto occorre identificare la residenza fiscale di questo soggetto, e poi da li si possono capire gli obblighi dichiarativi nei due stati coinvolti, come previsto dalla normativa convenzionale.

  16. Buongiorno Sig. Migliorini. Vorrei una consulenza più approfondita in merito alla questionde della doppia tassazione. il mio caso riguarda, ovviamente, la mancata iscrizione AIRE. Lavoro e risiedo in Francia da 8 anni ma non vi sono iscritta. QUest’anno voglio ufficializzare la cosa ma, come devo procedere? dichiarare l’iscrizione all’anno di arrivo o a partire dal 2021? QUali sono le conseguenze a livello fiscale e pensionistico se non dichiaro gli 8 anni? La ringrazio anticipatamente.

  17. Per l’analisi di situazioni personali per le quali è richiesto maggiore dettaglio, come nel suo caso, se vuole ci scriva in privato per una consulenza. La aiuteremo a risolvere i suoi dubbi.

  18. Buongiorno,
    a inizio 2020 mio marito si è recato in Israele per un breve progetto di ricerca (6 mesi) in qualità di postdoc, firmando il modulo relativo alla convenzione sulla doppia imposizione.
    Dopo soli 2 mesi, però, lo scoppio della pandemia, la chiusura dell’aeroporto e il lockdown gli hanno impedito di fare ritorno e così l’Università israeliana gli ha protratto il contratto per l’intero anno, iniziando però a tassargli lo stipendio, che in tal modo si è di fatto quasi dimezzato, consentendogli a malapena di vivere e di fare fronte agli ingenti costi di vita e di rientro in condizioni pandemiche.
    Nonostante le numerose richieste, mio marito non ha mai riavuto indietro gli importi impropriamente tassati.
    Ovviamente la tassazione è comprovata sia dalle buste paga sia dal compendio retributivo rilasciato dall’Università a fine rapporto; disponiamo inoltre di documento di simulazione di dichiarazione redditi in loco redatta da un commercialista autorizzato, che azzera le tasse da pagare proprio in considerazione delle trattenute mensili già versate.
    Purtroppo, non essendo cittadino israeliano né residente, non ha potuto presentare dichiarazione là per poi far valere un credito d’imposta in Italia.
    Io nel frattempo ho perso il mio lavoro nel settore teatrale ma, come tanti colleghi, non sono stata ritenuta “degna” di alcun tipo di indennizzo statale.
    A fine 2020 ci siamo trasferiti in Francia con un nuovo contratto, questa volta biennale rinnovabile, ed abbiamo immediatamente fatto domanda di iscrizione Aire (cosa che mio marito non ha fatto prima perché per mesi ha aspettato il primo volo per rientrare dalla sua famiglia, cosa che poteva accadere -e di fatto è accaduta- da un momento all’altro).
    Infatti mio marito sta venendo tassato in Francia come regolare residente, questa volta in maniera appropriata.
    Ovviamente non ha alcuna intenzione di pagare nuovamente tasse già pagate a fronte di servizi mai usufruiti in Italia per l’intero 2020, né di anticipare soldi solo figurativamente recuperabili (ma se non lo sono stati in un anno…), perdipiù nella nostra grave situazione di precarietà economica e non essendo mai di fatto rientrato in Italia.
    Che cosa ci consiglia?
    Grazie

  19. Buongiorno lavoro in Francia sono un autonomo nel settore dell’insegnamento a distanza, ho creato la mia piccola impresa(lavoro solo io) e emetto fatture, sono residente in Francia.
    La tipologia del mio lavoro mi permette di svolgerlo in qualsiasi paese, ma non riesco avere delle info certe su quanto andrei a pagare di tasse in italia qualora volessi ritornare potreste aiutarmi? Grazie

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