Home Fisco Internazionale Pianificazione fiscale internazionale Fondo di dotazione della stabile organizzazione in Italia

Fondo di dotazione della stabile organizzazione in Italia

0

La stabile organizzazione è dotata di un fondo di dotazione (che rappresenta il suo “capitale sociale”). L’importo, che non prevede limiti di importo, viene conferito dalla casa madre estera. Tale importo non è rilevante per i creditori sociali e può variare nel tempo senza particolari procedure formali. L’OCSE prevede precisi metodi per determinare il valore del fondo (thin capitalization approach).

La stabile organizzazione (branch) in Italia di impresa non residente si qualifica, secondo la normativa nazionale e convenzionale, come un soggetto passivo di imposta nel territorio dello Stato. Nell’ambito della procedura di corretta attribuzione del reddito di detta entità si colloca anche la necessità di identificare l’attribuzione del fondo di dotazione (fiscalmente rilevante) alla stabile organizzazione. Sotto il profilo fiscale alla branch vengono attribuiti quei profitti che la stessa avrebbe conseguito svolgendo le medesime funzioni o funzioni similari, alla medesime o similari condizioni, qualora avesse operato quale impresa separata e distinta dalla casa madre. Tale finzione consente di equiparare la stabile organizzazione ad una consociata estera della casa madre e di ricondurre i rapporti economici intercorrenti fra tali soggetti (internal dealings) nell’ambito di applicazione del principio di libera concorrenza, previsto delle Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento.

Il fondo di dotazione, all’interno di questo contesto, rappresenta l’ammontare di “mezzi propri” (free capital) di cui la stabile organizzazione dovrebbe dotarsi qualora operasse come un impresa separata e distinta dalla casa madre, tenuto conto del relativo profilo funzionale e di rischio. Da un punto di vista fiscale questo valore assume un importanza fondamentale, soprattutto per le stabili organizzazioni di enti finanziari, soprattutto perché rappresenta un termine rilevante per determinare gli interessi passivi fiscalmente ammessi in deduzione (Risoluzione n. 44/E/2006 Agenzia delle Entrate) in relazione alle risorse qualificate come finanziamenti – di terzi o intercompany – oppure per determinare il beneficio Ace spettante alla stessa stabile organizzazione in relazione  alla dotazione di risorse a titolo di capitale (Circolare n. 21/E/2015 Agenzia delle Entrate).

Fondo di dotazione: presupposti e finalità

Il fondo di dotazione può essere definito come l’ammontare di “mezzi propri” (free capital) di cui la stabile organizzazione dovrebbe dotarsi qualora operasse come un impresa separata e distinta dalla casa madre, tenuto conto del relativo profilo funzionale e di rischio.

Per quanto concerne l’attribuzione del fondo di dotazione (free capital), nel rispetto del principio di libera concorrenza, una stabile organizzazione deve disporre di un capitale proprio sufficiente a finanziare le funzioni che svolge, i beni ad essa attribuiti e i rischi che assume.Da un punto di vista economico, è riconosciuta al fondo di dotazione la funzione di fornire uno scudo contro la cristallizzazione del rischio d’impresa in perdita e consente di mantenere il merito creditizio dell’impresa.

In coerenza con il functionally separate entity approach, quindi, il fondo di dotazione assume natura di capitale di rischio (equity) sicché, in contrapposizione al capitale di debito, non può dar luogo a interessi passivi fiscalmente deducibili. Su queste premesse diviene pertanto chiaro che la determinazione del reddito di una stabile organizzazione nel rispetto del principio di libera concorrenza richieda la preliminare definizione del fondo di dotazione, in assenza della quale non si potrebbe pervenire ad una corretta quantificazione degli oneri finanziari deducibili che sulla formazione di detto reddito incidono.

Fondo di dotazione: normativa nazionale

Il decreto Internazionalizzazione imprese (D.Lgs. n. 147/2015) ha sostituito l’art. 152 del DPR n. 917/86, che – nella versione attualmente in vigore – detta le modalità di determinazione del reddito di società ed enti commerciali non residenti derivante da attività svolte nel territorio dello Stato mediante stabile organizzazione. In particolare la disposizione stabilisce:

  • (comma 1) che il reddito della stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili, e secondo le disposizioni della sezione I, del capo II, del titolo II, sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigersi secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche;
  • (comma 2) che la stabile organizzazione si considera entità separata e indipendente, svolgente le medesime o analoghe attività, in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati. Inoltre, il fondo di dotazione ad essa riferibile è determinato in piena conformità ai criteri definiti in sede OCSE.

Metodi Ocse per l’attribuzione del fondo patrimoniale

L’OCSE, quindi, individua quattro possibili metodi per la quantificazione del free capital. I quattro metodi previsti sono riconducibili a due distinte categorie, caratterizzate da differenti parametri di riferimento su cui valutare la congruità del fondo patrimoniale, vale a dire:

  • La struttura patrimoniale dell’impresa di cui la SO fa parte (i.e., il Capital allocation approach e l’Economic capital allocation approach);
  • La struttura del capitale di imprese comparabili indipendenti (i.e. il Thin capitalization approach e il Safe harbour approach – quasi thin capitalization / regulatory minimum capital approach).

Capital allocation approach

Secondo tale metodo, il fondo di dotazione di una stabile organizzazione è determinato proporzionalmente all’incidenza relativa degli asset e dei rischi attribuibili alla stessa rispetto al totale degli asset e dei rischi caratterizzanti l’impresa nel suo complesso. Tale metodo sconta tuttavia una serie di inconvenienti che ne possono limitare notevolmente l’applicabilità. Anzitutto, l’attendibilità del Capital allocation approach può risultare compromessa nell’ipotesi – invero assai frequente –in cui le attività commerciali svolte dalla casa madre e dalla propria stabile organizzazione non siano perfettamente similari e/o quando le condizioni di mercato in cui le stesse operano non siano comparabili.

Un altro significativo limite del metodo in esame risiede nel fatto che esso risulta non applicabile laddove la casa madre sia complessivamente sottocapitalizzata ovvero – per analogia – sovracapitalizzata. In altre parole, il Capital allocation approach conduce a risultati coerenti con il principio di libera concorrenza solo nei casi in cui la capitalizzazione complessiva della casa madre sia a sua volta coerente con detto principio. Ciò implica che l’applicazione di tale approccio presupponga una verifica preliminare della struttura patrimoniale della casa madre; verifica che deve necessariamente basarsi mediante il ricorso ad altro metodo.

Economic capital allocation approach

L’Economic capital allocation approach determina il fondo di dotazione di una stabile organizzazione proporzionalmente all’incidenza dei rischi attribuibili a quest’ultima rispetto al totale dei rischi caratterizzanti l’impresa nel suo complesso. Tale incidenza
è espressa in termini di esposizione economica potenziale. Tale approccio risulta notevolmente complesso da applicare, specie al di fuori del settore finanziario/bancario, in quanto ancora la quantificazione del fondo di dotazione all’entità dei rischi attesi, per cui esso deve svolgere la funzione economica “di cuscino” (capital follows riscks). Infatti, sebbene nell’ambito del settore finanziario/bancario siano diffusamente applicate sofisticate metodologie di quantificazione dell’esposizione economica al rischio, lo stesso non può dirsi con riferimento ad altri settori. D’altra parte, la stessa OCSE riconosce che tale metodo avrà verosimilmente scarsa diffusione generale, a meno che nel prossimo futuro non si diffondano dei nuovi sistemi di misurazione del rischio economico anche in altri settori.

Thin capitalization approach

Il Thin capitalization approach prevede che alla stabile organizzazione sia anzitutto attribuito un ammontare complessivo di “fondi” pari a quello caratterizzante un impresa indipendente comparabile (in termini di funzioni svolte, asset posseduti e rischi assunti). Una volta determinato l’importo complessivo di detto “passivo nozionale”, è necessario procedere, in una seconda fase, alla quantificazione della parte dello stesso avente natura di free capital e, per converso, al corrispondente ammontare di capitale di debito. Ai fini dello svolgimento di tale seconda fase è necessario lo svolgimento di un analisi comparativa (benchmark) volta ad individuare un intervallo di rapporti “equity/debito” considerabili fisiologici per imprese indipendenti comparabili alla stabile organizzazione, operanti nel Paese ospitante.

Il problema principale di questo approccio risiede nel fatto che l’esatta struttura del capitale di un’impresa dipende da una moltitudine di fattori complessi, sia interni, sia esterni ad essa, che non sono facilmente identificabili e misurabili: di conseguenza l’applicazione del metodo risulterebbe in generale particolarmente complessa e onerosa. Inoltre, nonostante il Thin capitalization approach non risenta delle eventuali anomalie caratterizzanti la struttura patrimoniale della casa madre (in quanto basato su benchmark “esterni”) e consenta quindi di pervenire comunque a valori di fondo di dotazione coerenti con il principio di libera concorrenza, nel caso in cui la casa madre risulti sotto capitalizzata, tale metodo potrebbe condurre a situazioni di doppia imposizione economica. Infatti, in tali casi vi è il rischio che l’importo complessivo di free capital attribuito alla stabile organizzazione possa eccedere l’ammontare dei mezzi propri costituenti il patrimonio dell’impresa nel suo complesso.

Safe harbour approach

Il metodo in esame determina l’ammontare del fondo di dotazione, facendo riferimento agli eventuali requisiti di patrimonializzazione minima previsti dalle norme regolamentari di settore vigenti nello stato di residenza della stabile organizzazione. Tale approccio, in sostanza, estenderebbe (ai fini fiscali) anche alle stabili organizzazioni gli eventuali obblighi regolamentari di settore vigenti per imprese indipendenti. È evidente che l’applicabilità del metodo sconta una limitazione strutturale legata al fatto che, al di fuori del settore finanziario, non sono di norma previsti requisiti regolamentari di patrimonializzazione; in assenza di tali requisiti non è chiaramente possibile individuare parametri adeguati per l’attribuzione del free capital.

Conclusioni

L’impossibilità da parte dell’Ocse di individuare un unico metodo per la costituzione del fondo di dotazione, ha comportato la definizione di più approcci possibili. Ciascun approccio, come si è visto, connotato da specifici punti di forza e di debolezza. Qualora, poi, due Stati abbiano interpretato in modo differente le disposizioni in esame e non è possibile concludere che una della due interpretazioni non sia in accordo con quanto previsto dall’articolo 7 comma 2 della Convenzione, qualsiasi doppia imposizione debba essere eliminata.

Al termine dell’analisi pare possibile concludere che, solo uno di qusti metodi possa ritenersi pienamente indipendente: il Thin capitalization approach. Come illustrato in precedenza, infatti, tutti gli altri tre metodi o non sono applicabili autonomamente. Questo in quanto devono essere preventivamente o successivamente corroborati utilizzando un altro degli approcci accettati (il Capital allocation approach e il Safe harbour approach), oppure non sono applicabili nella generalità dei casi, per via di intrinseche limitazioni tecniche (i.e. l’Economic capital allocation approach e il Safe harbour approach). Ciò è vero soprattutto in riferimento a stabili organizzazioni di soggetti non finanziari.

Per i soggetti appartenenti, invece, al settore finanziario il Thin capitalization approach può incontrare un limite pratico fondamentale. Limite legato all’impossibilità di individuare soggetti indipendenti comparabili (vi sono infatti Paesi in cui la maggior parte degli enti finanziari operano mediante stabili organizzazioni o filiali, sia per motivi regolamentari che fiscali). Probabilmente, proprio la considerazione di tali circostanze è stata la motivazione per cui si è resa pragmaticamente indispensabile la previsione di criteri alternativi che pur non potendo dirsi sempre e in tutto compatibili con il principio di libera concorrenza, a esso
potessero comunque risultare ispirati.

Exit mobile version