Questione ancora irrisolta, quella legata all’interpretazione restrittiva dell’Agenzia delle Entrate che nega l’applicazione della ritenuta del 26% sui dividendi esteri sul netto frontiera. Questo nel caso in cui il dividendo estero sia riscosso senza l’intervento di un intermediario finanziario residente. La gestione dei dividendi esteri senza netto frontiera. Apertura da parte della Cassazione sul credito per imposte estere.

La riscossione dei dividendi di fonte estera da parte di un soggetto percettore persona fisica residente fiscalmente in Italia non è priva di problematiche ancora irrisolte. La riforma del regime dei dividendi contenuta nella Legge n. 205/17 ha effetti anche sugli utili di fonte estera. Attualmente, infatti, siamo di fronte ad un regime binario di applicazione della tassazione sui dividenti esteri (provenienti da paesi collaborativi), che ha come discriminante la presenza di un intermediario finanziario residente che interviene (o meno) nella riscossione del provento.

Come vedremo, infatti, la situazione si differenzia a seconda che:

  • Il dividendo estero viene percepito dal contribuente residente per il tramite di un intermediario finanziario residente. In questo caso, ai sensi della Risoluzione n. 61/E/2019 dell’Agenzia delle Entrate, è prevista l’applicazione della ritenuta del 26%, sul c.d. “netto frontiera“;
  • Il dividendo estero viene percepito dal contribuente residente senza l’intervento di un intermediario residente. In questo caso, l’art. 18, co. 1 del TUIR, prevede che il contribuente assolva la tassazione sul dividendo in dichiarazione dei redditi, con base imponibile lorda (quindi senza tenere conto dell’eventuale ritenuta in uscita subita nello Stato estero di erogazione del dividendo).

Questa situazione crea una evidente problematica non omogeneità di tassazione, in quanto nei due casi indicati, solo in uno trova concreta applicazione il meccanismo nel netto frontiera. Si tratta di un meccanismo utilizzato per attenuare fenomeni di doppia imposizione internazionale del reddito. Nel caso in cui questo non trovi applicazione (incasso del dividendo senza l’intervento di un intermediario residente), il contribuente è chiamato a tassare in dichiarazione dei redditi il provento senza possibilità di attenuare la doppia imposizione.

La posizione dell’Agenzia, ribadita dalle istruzioni di compilazione della dichiarazione prevede che senza l’intervento di un intermediario nella riscossione del dividendo la ritenuta si applica sul dividendo lordo, senza considerare le ritenute in uscita subite al momento dell’uscita del dividendo dal Paese di erogazione. Questo orientamento, inutile negarlo, rischia di condurre ad un contenzioso potenzialmente di vasta portata. A questa considerazione si può giungere pensando a quante situazioni di questo tipo di possono presentare.

Le richieste di consulenza su questo aspetto non sono mancate in queste ultime settimane e continueranno sicuramente ad arrivare copiose. Proviamo, pertanto a fare il punto della situazione sull’argomento legato all’applicazione del netto frontiera sui dividendi di fonte estera. Cominciamo!

Incasso del dividendo con intermediario e netto frontiera

I dividendi percepiti da un soggetto fiscalmente residente in Italia sono considerati a tutti gli effetti redditi di capitale. La regola generale prevede che la base imponibile dei redditi di capitale da assoggettare a tassazione sia determinata al lordo delle imposte estere. Tuttavia, in deroga a questo principio generale vi sono gli utili da partecipazione in enti di diritto estero. Per questi proventi, infatti, è concessa l’applicazione della ritenuta fiscale (attualmente del 26%) sul c.d. “netto frontiera”.

Il netto frontiera non è altro che la differenza tra il dividendo lordo e la ritenuta in uscita applicata dallo Stato di erogazione del dividendo. Tale ritenuta in uscita, è bene ricordare, può essere ridotta in virtù dell’applicazione delle Convenzioni internazionali (ove esistenti).

Il riconoscimento della tassazione italiana sul netto frontiera, tuttavia, è condizionata dal fatto che gli utili di fonte estera siano riscossi con l’intervento di un sostituto d’imposta o un intermediario, la ritenuta deve essere applicate sul c.d. “netto frontiera“, come previsto dal co. 4-bis dell’art. 27 del DPR n. 600/73 secondo cui “le ritenute del comma 4 sono operate al netto delle ritenute applicate dallo Stato estero“. In questo caso, l’intermediario residente (istituto bancario) è chiamato ad assolvere una serie di adempimenti:

  • Accertare che il dividendo non sia deducibile dal reddito dell’emittente estero (art. 44 co. 2 lett. a) del TUIR);
  • Verificare che l’importo percepito non sia relativo a riserve di capitale (e che quindi sia tassabile);
  • Accertare che non sia proveniente da un soggetto a fiscalità privilegiata. In questo caso, occorre verificare l’applicazione dell’esimente secondo cui dalla partecipazione non si verifica l’effetto di localizzare i redditi in paesi a fiscalità privilegiata (art. 47-bis co. 2 lett. b) del TUIR).

Pertanto, le ritenute operate a titolo d’imposta (verso privati) o d’acconto (verso imprese) sul dividendo di fonte estera devono essere operate dall’intermediario residente al netto delle imposte applicate nello Stato estero dove risiede la società erogante. In questo modo viene attenuata la doppia imposizione internazionale sul dividendo.

Incasso del dividendo senza intermediario al lordo frontiera

Il caso sopra indicato è quello, principalmente, legato ad investimenti contenuti un portafoglio titoli da parte di un soggetto investitore nazionale. Tuttavia, nella pratica, vi sono una serie di situazioni, non chiarite dalla norma, in cui diventa impossibile (o molto difficile) avere l’ausilio di un intermediario residente nella riscossione del provento. Mi riferisco, in particolare, alle seguenti fattispecie:

  • Utili di fonte estera incassati da società estere non quotate;
  • Utili di fonte estera incassati su conto estero.

Nella prima fattispecie (società estera erogante il dividendo non quotata) l’intermediario bancario italiano che riceve la somma di denaro non è in grado di identificare che lo stesso sia un dividendo. Infatti, tale partecipazione non può essere compresa nel portafoglio titoli del detentore. Per questo motivo l’intermediario non è in grado di applicare la ritenuta a titolo di imposta sul dividendo.

Nel secondo caso l’intermediario nazionale non è in grado di applicare la ritenuta in quanto il dividendo viene incassato su un conto corrente detenuto all’estero. In queste due fattispecie il contribuente percettore è chiamato a dichiarare i proventi nella sezione V del quadro RM del modello Redditi (rigo RM 12, codice H). Questo ai fini dell’autoliquidazione dell’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 18 del TUIR (in questo caso, ricordo, non è prevista l’opzione per la tassazione ordinaria IRPEF del provento).

Base imponibile dei dividendi esteri senza netto frontiera

Si tratta di due fattispecie, quelle sopra elencate, statisticamente frequenti. In questi casi la base imponibile del dividendo dovrebbe essere assunta al netto delle imposte estere. Su punto le istruzioni al modello di dichiarazione (comprese quelle al modello Redditi PF) sono, però, ferme nello stabilire che la base imponibile del dividendo è al lordo delle ritenute subite all’estero. Questa impostazione si ricava da un remoto documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate. Mi riferisco alla Risoluzione n. 80/E/2007 che, appunto, esclude l’applicazione del netto frontiera nell’incasso dei dividendi di fonte estera (senza l’intervento di intermediario residente).

Questa soluzione risulta iniqua e contraddice in modo espresso i principi enunciati dalla stessa Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 26/E/2004 (§ 4.3), che ancora oggi rappresenta il documento più organico dell’Amministrazione finanziaria sul tema.

Secondo la Circolare, infatti, se l’utile viene riscosso per mezzo di un intermediario residente, la ritenuta d’ingresso del 26% viene operata dalla banca sull’utile al netto della ritenuta estera. Ritenuta applicata secondo quanto previsto anche dalle singole Convenzioni contro le doppie imposizioni. Se poi il contribuente ottiene dall’Autorità fiscale estera il recupero della differenza tra le imposte effettivamente subite e l’aliquota convenzionale, la differenza deve essere assoggettata a tassazione in qualità di dividendo. Questo, con le stesse modalità previste per gli utili di fonte estera. Mi riferisco alla ritenuta da parte del sostituto d’imposta, oppure autoliquidazione dell’imposta nella dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR.

Esempio di applicazione della ritenuta sul netto frontiera in caso di ritenuta applicata in eccesso alla Convenzionale

Ipotizziamo che l’aliquota della ritenuta convenzionale in uscita sul dividendo sia del 15% e che, invece il prelievo sia stato operato all’estero nella misura del 20%. Ipotizziamo un dividendo pari a 100. Avremo che:

  • La ritenuta d’ingresso ammonta a 20,8 (il 26% di 80);
  • Il contribuente può richiedere a rimborso all’Amministrazione estera la differenza di 5;
  • La banca italiana incaricata della riscossione trattiene l’importo di 1,3 (il 26% del 5%);
  • Il prelievo complessivo di 22,1 (20,8 + 1,3) è esattamente pari a quello che graverebbe sulla persona se fosse stata da subito applicata la ritenuta convenzionale (esso corrisponde, infatti, al 26% di 85).

Anche l’utile dichiarato nel quadro RM deve essere tassato in autoliquidazione al netto dell’imposta estera, quale che sia la misura con cui essa è stata applicata. Se così non fosse, infatti, perderebbe significato la stessa indicazione della Circolare n 26/E/2004. Secondo il documento, il rimborso della ritenuta prelevata in eccesso rispetto alla misura convenzionale deve essere nuovamente essere assoggettato a tassazione. Riprendendo l’esempio proposto è evidente che, se nel quadro RM si dovesse tassare subito tutto l’importo di 100, la differenza di 5 non dovrebbe più essere soggetta a imposta. Si potrebbe, quindi, ipotizzare che le istruzioni ai modelli di dichiarazione facciano riferimento al caso generale dei redditi di capitale (per i quali vale la tassazione al “lordo frontiera”), dimenticandosi però dell’eccezione dei dividendi, per cui, invece, vale il “netto frontiera”. Questo, anche se resta il precedente negativo della Risoluzione n. 80/E/2007.

Tassazione con diversa base imponibile dei dividendi esteri: sintesi

Con l’emanazione dell’articolo 1, comma da 1003 a 1005 della Legge di Bilancio 2018, il Legislatore ha modificato, a decorrere dal 1° gennaio 2018, il regime di tassazione applicato ai proventi percepiti al di fuori dell’esercizio d’impresa da persone fisiche residenti in Italia in relazione al possesso di partecipazioni “qualificate”. Contrariamente a quanto avveniva nella previgente disciplina fiscale, l’intero importo dei sopracitati proventi costituisce base imponibile a cui applicare l’aliquota d’imposta del 26%.

Nel caso in cui nell’operazione di riscossione dei dividendi intervenga un intermediario finanziario italiano, la ritenuta a titolo d’imposta è applicata sul c.d. netto frontiera, mentre, nel caso in cui il provento sia percepito direttamente su un conto corrente estero o, più in generale, senza il tramite di un soggetto terzo, l’imposta sostitutiva è calcolata sul dividendo
al lordo di ogni possibile ritenuta subita nel Paese straniero.

L’utilizzo di una diversa base imponibile a cui applicare la medesima aliquota di tassazione genera risultati notevolmente diversi tra loro, particolarmente peggiorativi nel caso di utilizzo del “lordo frontiera”. Quanto disposto dalla norma e avvallato dall’Amministrazione finanziaria, anche con la risposta a interpello n. 111/E/2020.

La Sentenza n. 25698 del 1° settembre 2022 della Corte di Cassazione

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con un importante principio di diritto di cui alla Sentenza n. 25698 del 2022. Il caso analizzato dai giudici è quello di un contribuente residente che, senza l’intervento di intermediario residente ha percepito dividendi di fonte statunitense. In particolare, i giudici arrivano alla conclusione che al contribuente spetti l’applicazione del credito per imposte estere sulla base delle considerazioni seguenti.

L’analisi parte dall’art. 23, co. 3 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti, ove è previsto che l’Italia deve dedurre dalle imposte sul reddito, di cui al precedente art. 2, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti (secondo periodo). Al terzo periodo dell’articolo viene previsto che, “tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento dì reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana“. Questo significa che qualora l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta, come nel caso dell’art. 27, co. 4 del DPR n. 600/73 o mediante imposta sostitutiva, quando il contribuente sia persona fisica, avvenga non su richiesta del beneficiario del reddito ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti si deve considerare detraibile.

In pratica, per i redditi di capitale di fonte estera percepiti direttamente dal contribuente persona fisica titolare di partecipazione, qualora l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta (come nel caso dell’art. 27, co. 4 del DPR n. 600/73 o mediante imposta sostitutiva, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’art. 18, co. 1, del TUIR) avvenga non su richiesta del beneficiario del reddito ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata nel Paese estero si deve considerare detraibile. Questo in relazione al fatto che la locuzioneanche su richiesta del contribuente” che figura in molte Convenzioni siglate dall’Italia conferma che quando l’Italia ha voluto negare il credito di imposta, lo ha previsto espressamente.

Tale interpretazione trova conferma nella diversità del testo vigente degli accordi bilaterali contro le doppie imposizioni conclusi con altri Paesi, secondo i quali “nessuna detrazione sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, ovvero ad imposizione sostitutiva con la stessa aliquota della ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente, ai sensi della legislazione italiana“.

Questo principio enunciato dai Giudici è sicuramente molto importante in quanto in grado di permettere al contribuente persona fisica che incassa senza intervento di intermediario residente dividendi di fonte estera di potersi portare a credito la tassazione subita all’estero, direttamente in dichiarazione dei redditi. Naturalmente, affinché il principio enunciato possa trovare applicazione è necessario che vi sia nella Convenzione oggetto di applicazione un testo concorde con quello che è stato analizzato dalla Corte (Convenzione tra Italia e Stati Uniti). Pertanto, rimane comunque fondamentale una analisi caso per caso della fattispecie, ma il principio espresso appare come un primo elemento a favore del contribuente.

Le posizioni da tenere per il futuro

Come detto non vi è dubbio sul fatto che, nel rispetto delle condizioni previste dai Giudici, ovvero sulla presenza di un testo della Convenzione in linea con quello analizzato, sia possibile per il percettore persona fisica utilizzare il foreign tax credit. Questo sia per i redditi di capitale derivanti da partecipazioni non qualificate, ma anche per i dividendi su partecipazioni qualificate percepiti a partire dal 1° gennaio 2018.

Tuttavia, sul piano pratico, occorrerà tenere presenti alcuni aspetti rilevanti, come già evidenziato da parte della dottrina e che in questa sede condividiamo. In particolare, i seguenti:

  • La possibile preclusione da parte degli intermediari residenti dall’assumersi la responsabilità di applicare un credito per imposte estere per i dividendi ancora da percepire su titoli presso di questi depositati. Deve ritenersi plausibile che, in assenza di una norma di legge che lo preveda e solo in base a sentenza della Corte, probabilmente, nessun intermediario vorrà assumersi la responsabilità di applicare un foreign tax credit sui propri clienti;
  • Le problematiche legate agli aspetti dichiarativi. Infatti, l’attuale modulistica dichiarativa, legata al quadro RM ed al quadro CE del modello Redditi, non permette di poter inserire il credito per imposte estere in caso di applicazione di imposta sostitutiva sui redditi di capitale di fonte estera.

Di fatto, quindi, la sentenza in commento deve essere vista in senso positivo agli interessi del contribuente ma, purtroppo, senza una vera e propria modifica legislativa o recepimento della stessa da parte dell’Amministrazione finanziaria nella modulistica dichiarativa, di fatto l’unica modalità per il contribuente per far valere questa disposizione rimane la richiesta di rimborso. Si tratta, sicuramente, di una opzione da valutare con attenzione con il proprio consulente fiscale. Non si deve dimenticare, infatti, che occorrerà farsi trovare preparati ad impugnare l’eventuale silenzio rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria. Per questo motivo ogni situazione deve essere valutata con attenzione anche in relazione all’importo del reddito di capitale percepito.

Conclusioni e consulenza fiscale

La problematica tende ad essere sempre più attuale e sicuramente, anche in relazione alla sentenza della Cassazione, che abbiamo commentato. Come detto, infatti, le stesse istruzioni al modello Redditi evidenziano in modo espresso che anche agli utili incassati senza intermediario residente non si applica il netto frontiera e non si applica nemmeno il credito per imposte estere. Appare sicuramente discriminatoria la situazione attuale, anche in virtù del chiarimento fornito dalla Cassazione in merito alla portata delle disposizioni convenzionali sull’argomento.

A regime, quindi, si profila un sistema di imposizione sostitutiva generalizzato, con applicazione di credito per imposte estere, in cui i correlati rischi di contenzioso risultano amplificati. Per questo motivo si auspica un intervento di prassi che possa chiarire in modo inequivocabile la questione, sperando che questo possa tradursi in una applicazione generale del credito per imposte estere. In questo periodo transitorio si profilano comportamenti diversi, con profili di rischio diversi a carico del contribuente. Per questo motivo, se ti trovi in questa situazione valuta la tua posizione con un consulente fiscale esperto di Fiscalità Internazionale. Se vuoi analizzare la tua posizione e risolvere i tuoi dubbi in merito contattami al link seguente per una consulenza personalizzata.

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